Al Sproloqui ed Sandroun (per i zemian ed Modna e dal dintorna) scritto da Mario Bertoni per Italia Nostra Modena (che ha molto apprezzato e, grata, stampa e diffonde). Era dato per il San Geminiano, ma vale certo per questo Carnevale

SANDRONE (per i zemian ed Modna e dal dintorna)

“Siamo quindi giunti da Cicisbecco, dove spennano i conigli dove pelano le oche dove occorrono ottant’anni prima di arrivare! Siamo partiti coi nonni siamo arrivati coi figli!”. Il consorzio degli storicisti, criticisti, giornalisti, archivisti (di tutti quelli che, in altre parole, non riuscendo a farsi gli affari propri, devono, per cause di forza maggiore, farsi gli affari degli altri) fa da comitato scientifico alla presentazione, presso Radio Bugadera, di una puntata interamente dedicata a Sandrone e ai suoi “Amarcord”: “Sano, sereno, spensierato, vive solo chi beve Sassolino Stampa. La ditta Sassolino Stampa di Sassuolo è lieta di sponsorizzare la trasmissione interamente dedicata a Sandrone. “Banco dell’operaio, banco del lavoratore. Vi voglio rovinare. Siamo qui per vendere e non per regalare!! Non per cinque, non per quattro, non per tre, non per due, bensì per sette franchi al pezzo, con più gente entra con più bestie si vedono!!! Vi faremo vedere quello che è mondo e quello che non è mondo!!!”. All’epoca dei fatti, in pieno novecento, Palazzo Solmi era diviso in spazi, ognuno gestito dalle eccellenze di Modena, e ognuno con la propria baiadora (la propria imbonitrice con megafono), una specie di mercato coperto, coi muri al posto delle tende e negozi e vetrine al posto delle baracche e dei banchi. Quella volta c’era il Carnevale e siccome il Podestà voleva fare diventare stabili gli spazi gestiti dagli ambulanti (oh!!!, me an sò menga ed lettra, ma a m’è ind’avis che ambulant lee un che a la fin ed’la giurneda al fa sò baraca e buratein, e “ambula”, als’ciapa sò, al sparés, al va via, e invece quella volta si volevano trasformare gli ambulanti in negozianti) c’erano manifestazioni di protesta un po’ dovunque per le strade del centro, con risse, liti, tafferugli tra quelli che erano già negozianti e non volevano che altri bottegai portassero via a loro i clienti, tra quelli che erano riusciti ad accaparrarsi un posto all’ombra e quelli che dovevano ogni volta conquistarsi un’area libera e piantare i propri paletti di demarcazione (oggi nessuno ci fa più caso, è la moda del campeggio, bellezza, con una fatica da brigante, la schiena a pezzi, le formiche dovunque, e di fronte alla scarsità di acqua ci si lava con l’umidità e la condensa della tenda. E poi hanno il coraggio di dire che sono stati in vacanza e che si sono riposati. Seeee!!!! Ai lavor furzé a Sing Sing!!!!!). Insomma, era tutto un gran casino, e poi, la fiera è la fiera ed è fiera di essere fiera. E infatti, per aumentare la fiera e l’affluenza di pubblico, Ferrari e Maserati avevano montato sulla via Emilia, in dal crusel con via Ganaceto, una giostra a forma di ruota verticale, un auto scontro e una pista per macchine elettriche. E la baiadora che gridava: “Banco dell’operaio banco del lavoratore! Vi voglio rovinare! Non per cinque, non per quattro, non per tre, non per due, non per uno, bensì per sei franchi a la volta. Comprate sempre i gettoni alla cassa per giri prolungati e veloci! È bello, piace e diverte! Con più gente entra, con più bestie si vedono! Vi faremo vedere quello che è mondo e quello che non è mondo!!!”, e infatti tutta la gente faceva la fila giù per via Ganaceto per comprare i gettoni. Ma ci sono due incisi da fare, due baiador (maschi), che giravano in mezzo al pigia pigia, uno alto e magro con un cavalletto in spalla, un cartello di cartone con su scritto “Al pitur”, il quale, per un tragico errore, fu insignito dell’onorificenza dei “viaggi senza” dell’Alpi Tour, interpretando male il cartello del nostro che si aggirava perplesso tra la folla e domandava insistentemente, come un groviglio esistenziale: “Mah? E l’arte contemporanea?” le risposte sono irripetibili anch per un come me. L’altro era un omarino il quale dal potente microfono gridava: “A mezzanotte, nel cortile di Palazzo Solmi, attrazione internazionale della serata!!! Vi faremo vedere quello che è mondo e quello che non è mondo!!! Comprate sempre i gettoni alla cassa (dai pòr!!!), per evitare di rimanere senza posto a sedere!!! Con più gente entra con più bestie si vedono!!!”. E anche lì si formavano file interminabili, di gente che spinge da una parte, perché i volen ander dedza, e chi dacl’etra perché i volen ander dedlà. Baraonda (Ouh!! Veh!! Gabian!!! Al Baraonda en né menga al contrari dal barapiatto o dal bararettilineo), bessaboga in mez a la fiumana e a la maraia.

Arriviamo a fatica davanti al portone d’ingresso con le ante mobili. Spingiamo e ci troviamo nell’androne: sulla destra due spazi, l’uno intitolato “La gnocca di Modena”, l’altro “Il gnocco di Modena”, quest’ultimo con una lenzuolata su cui c’era scritto di tutto: “il gran fritto, il gran budello, il gran cotechino” (tutto in taglia massima), e tutto sponsorizzato da un altro grande, “il gran colesterolo” (ma su questo ci sono dei dubbi, perché la parola era stata corretta tre o quattro volte con polistirolo). Diversissimo, invece, il clima che si respirava nell’altro spazio: “La gnocca di Modena”, su cui troneggiava una scritta gigantesca “Gina lava Gina”, che non c’ha niente di sporco o d’indecente, autogestito da donne tuttofare, che pensano all’igiene ed alla profilassi Killy, “Chilli? Ma chilli chi?” “Ma Killy quello lì” “Ah, già Chilli lì”. “Ogni servizio è garantito all’insegna del massimo livello!!!”, “Vai dentro nudo ed esci nudo con le mani in tasca!!!”, cle tot un smanazameint ed man ch’el zerchen al portafoi perché le dvinté acsé cech, ch’ans cata piò, l’ha ciapee al vol. “Scherz d’usel, e, in géner, ed tot i volatil ”. Ed ecco, sul più bello, comparire al pitur: “E l’arte contemporanea?” e dal mezzo della maraglia si leva un vocione da minatore: “l’arte contemporanea? L’arte contemporanea l’è andeda in casein!”. “Un momento che la signora si pettini!!”, al che, con aria tipo un tedesch in mez a di eschimes, al pitur al sparés in meez a la géint. Venghino venghino signore e signori, con più gente entra con più bestie si vedono”. E uno sconosciuto lì di fianco: ”A m’è indavis ed sé. Ah sé! propria ‘na bela nuvitè”. E l’omarino: “Vi faremo vedere quello che è mondo e quello che non è mondo”. Sull’altro lato dell’androne, lo spazio era unico, un’unica scritta troneggiava: “AGO!!!”, e tot is mucéven per ander deinter a vàder al spazi dedichè ad Agostini e al moto da corsa, e dap tri secand i gniven fora ch’un ‘na ghégna c’ la pariva al mus d’un folcsvagen, perché al spazi l’era dedichè a Sant’Agostino (???), ch’ an n’è mai stée a Modna e a Modna in l’an mai vist. E chelor is guardeven disorienté, gnanc chi fosen finii deinter al frulador girmi.

Comunque: al cambri in toot i pian dal palaz e gl’ieren prenotedi per al piò gran atrazioun internazioneli d’la dàna. La donna cannone che con un sofiotto smorza un lampione; la donna gorilla che prima di urlare strilla; la donna serpente che misura otto metri dalla testa alla coda e otto metri dalla coda alla testa per un totale di sedici metri. E poi, sempre, un momento che la signora si pettini. Ed è in quel frangente di silenzio che ricompare al pitur che chiede: “E l’arte contemporanea?” con una reazione curiosa da parte di uno sconosciuto tra il pubblico: “contemporanea? Ma contemporanea a chi? A che cosa? E po’ quand? In dove?”… che continuava a porre domande mentre lo portavano a Villa Igea. In uno spazio signorile due modelli di auto da corsa, una Ferrari e una Maserati, con un’avvertenza grande come una parete. “Attenzione alla meccanica!!!”, e di sotto, con calligrafia differente: “Veh!! Ouh!!!” Piroun!!! Che la mecanica l’an nè menga la muiera dal mecanic!!!”. In uno stanzino piccolo, ma dotato di una luce radiosa, il consorzio di archeologi e paleologi, ha esposto in una teca di vetro, un frammento rarissimo, con al so bel cartel: “la lisca di pesce che usava Cornelia, la madre dei Gracchi, per grattarsi i calli alla vigilia del gran ballo dell’imperatore”.

E tuttavia, è proprio dai negozi che voglio riprendere il discorso, perché, se un al fa ches a la storia dl’edifézi, per tot al secol pasè, a sàmbra che l’unic patibol al fòsa qual di negozi, negozi ed sovra, negozi ed sàta, negozi ded’zà, negozi ded’là, slargher i negozi, stricher i negozi, alvèr i negozi, arbasèr i negozi, chal negozi chè tal dev mètter lè, e qual ch’le lè tal dev mètter chè, al tira e mola di negozi, ma a la fin d’la fola cus’è che un al s’arcorda? Un al s’arcorda: 1) L’enoteca (te la dico in italiano) “Vini d’Italia” di Ermanno Tondelli, in via Badia per tot i biasa not ed Modna (compres qui ch’in gh’aviven menga voia d’ander a scóla, un l’andeva déinter in d’la salàta, e l’era fata, dvinté invisibil: a gh’era na salàta cun un banc ed làgn, al bus rotand per al calamer dl’incioster, al legìo mobil, c’al s’alveva sò, e per tot quii ch’aviven parchegee al cul inzéma a c’la panca almeno ‘na volta in d’la véta, un gran libroun indove ognun al psiva screver qual ch’al vliva), po’ vers el see d’la basora, faceva la sua comparsa la baiadora del maestro di cerimonie, Ermanno in persona: “un attimo di attenzione, un momento che la signora si pettini, abbiamo visto entrare il professore quello vero” al che tutti si guardavano con aria interrogativa, e visto che non era successo niente, il baccano riprendeva incosciente. Alle 18,30, entrava l’ingegnere in bicicletta, che aveva il permesso, lui solo, di parcheggiare il veicolo a pedali addosso al bancone della vendita. 2) Il negozio di oli dei f.lli Cellie, (te lo dico in italiano anche lui), collocato a sinistra dell’ingresso al Palazzo sul lato di via Sant’Eufemia, era una roba pazzesca!!! profumo di olio da tavola stupendo, fantastico arredo in acciaio grigio uniforme. Il negozio Cellie dà il via alla sinfonia dei gialli di Sant’Eufemia: di fronte a questo, sul lato opposto della strada, un forno che faceva pasta fresca e grissini (a mano!!!) fantastici, croccanti di fuori e morbidi dentro. In vetrina, troneggiava un bensone di Modena enorme, non con la marmellata, ma con la scorza di limone grateda fina fina e impasteda in manéra da férla dvinter la fin dal mand cun al retrogàst d’un dolz. E la scréta: “Qui, con il Gran Bensone, il Pensare è diventato Bensare!!” All’inizio di Sant’Eufemia, sul lato di Corso Duomo, due Pulonie che vendevano limoni: “abbiamo i limoni belli, sani e da sugo!! Quattro limoni trenta franchi!!!” tenuti dentro a ceste di vimini, mai più mangiato limoni così dolci. Invece, all’ingresso del Palazzo, su via Sant’Eufemia, c’era un pularuolo alto come una montagna, con una voce e un fiato da Pavarotti, che urlava: “abbiamo le uova di cappone, du al prezi ed tri”, e se uno protestava per la fregatura, la muntagna la s’arbaséva e la tireva foora un fòi toot spigazee dove si diceva che la famiglia Cappone di Padova gli concedeva la vendita esclusiva per tutta l’Emilia e Romagna di uova e affini, prodotti dalla loro azienda agricola.

Ma per cal dé, e per i dé a gnir, al cunsorzi dl’asé balsamic l’aviva tolt in afét toot i negozi dal Palaz da la pért ed via Carteria. “Venghino, venghino siore e siori; dottori, professori, medici, psichiatrici, anatomici, hanno studiato lungamente il fenomeno: quella macchia da quel colore incerto che cresce a vista d’occhio mentre scompare al solo contatto della mano. Con una lira potrete levare la foglia, con due ve ne potrete cavare la voglia”. Anche qua, la cosa più divertente l’era l’espresiòun ed qui chi gniven fora: i gaviven stampè in dal grògn al fruntel cun l’autobus in largo Barigaldi. L’idea l’era che la voia is la fosen caveda per seimper.

E acsè, tra na ciaveda e cl’etra, le ariveda mezanot. Al casein l’era imposibil. Tot lé per veder “quello che è mondo e quello che non è mondo”. Casein in dal curtil dal Palaz, i operai i èin adré ch’i mounten do tendi, òna per al pelch ed l’umarel, cl’etra per al curtil dal Palaz. Chi tira da na pert e chi mola da cl’etra, chi tira piò dedzà e chi mola piò dedlà. Un sbraitèr incredibil, insàma, per ferla curta, a un zert punt, tooti al lus el se smorzen. Sileinzi ch’as seint vuler na masca. A s’impéia na candela sovra al tevel dal pelch senic. A sélta foora l’umarel, tra du sac ed tela iuta piò grand ed lò. E al taca. “Come potete immaginare siamo allo spettacolo conclusivo: mantenendo fede alla parola data, sono qui per mostrarvi quello che è mondo e quello che non è mondo. Ebbene”, e nel parlare scioglie le corde che tengono sigillati i due sacchi, “questi sacchi contengono del riso. Il riso è riso, dirà qualcuno. E invece no, perché questo è riso mondato e questo è da mondare, questo è mondo e questo non è mondo”… c’è un attimo di sospensione, di silenzio, di incredulità, rotto da una voce tuonante: “sé, vest ch’as trata ed ris, e al colp da reder?” PUM!!! un colpo di fucile rimbomba nel cortile, “ecco al colp da reder, réd adeesa s’te gh’nee voia”. Al quale si accompagna il buio perché l’umarel cadendo si porta dietro la candela, e la folla, spaventata e inferocita inizia ad urlare, cercando di scappare nell’acciaccapesta.

A zinch e mez al lavurant ch’al tin adré al curtil, me, e eter du noster biasa not a iavam sré al purtoun dal Palaz. An ghera nisun deinter. In dal srer, am sun adé d’un cartel in spincaioun chal giva: “i bragher al dazi, i caioun a let”. Bein? Mo sl’era seimper quàl ch’am gniva in ameint toti el volti ch’a tgniva al sproloqui dal balcunzein dal Palaz?? “Zampa ed can e càva ed réz… chi nas caioun… mai piò guaréss…”.

E, per chiudere, ve lo dico in italiano, “buon giorno ai suonati e buona notte ai suonatori!!!”.
E grazie per l’attenzione. E Buon San Geminiano a tutti i soci di Italia Nostra.

I ringraziamenti: a Italia Nostra, a tutti i soci, ma soprattutto a Giovanni Losavio, che ha avuto parole di stima più che lusinghiere nei confronti di questo “sproloqui”, all’amico Ivan Turci, il Sandrone dei Sandroni, il quale, con tanta pazienza, ha corretto (ahimè!) la scrittura dialettale molto deficitaria del sottoscritto, all’amico Lorenzo Carapellese e a mio fratello Giuseppe che da molti anni mi incoraggiano e mi spronano a mettere per iscritto, e naturalmente, a rivisitare e adattare alle esigenze attuali, questa narrazione orale che recitava spessissimo lo zio Bruno.

Mario Bertoni
per Italia Nostra sezione di Modena

(che ha molto apprezzato e, grata, stampa e diffonde)

Fiera di San Geminiano, carnevale 2022