I privati, si dice, hanno salvato la Caserma Fanti. Quale sorte, ci si domanda, per la contigua Caserma Garibaldi abbandonata al degrado?

E’ parte integrante del quattrocentesco monastero benedettino, ma per divenire con la Restaurazione Accademia Militare Estense (neoclassico è il fronte, con il suo timpano, verso il baluardo di San Pietro (1)) e ospitare con l’Unità il Distretto militare è stata funzionalmente separata dall’originario insediamento conventuale. Esaurita la funzione militare oltre quarant’anni or sono, la Caserma Garibaldi è stata poi affidata alla Agenzia del Demanio che ne ha trascurato la manutenzione negli anni e ancora rimane inerte di fronte al progressivo degrado e al rischio di conseguenze irreversibili. Un danno grave a un bene riconosciuto parte del demanio culturale dello Stato. La stampa cittadina lo ha ripetutamente denunciato e in questi giorni lo ha enfatizzato a confronto con la miglior sorte, si dice, toccata alla Fanti.
Per un principio del codice penale chi ha l’obbligo di impedire un fatto dannoso e non lo impedisce è responsabile di quel fatto. Lo avevamo scritto ormai otto anni or sono in un esposto diretto (nella ingenua convinzione che il sistema necessariamente contemplasse le misure istituzionali di reazione) al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale e al Procuratore presso la Sezione regionale della Corte dei Conti, segnalando che quella protratta trascuratezza aveva procurato una vistosa lesione alla stessa integrità fisica del monumento. Un principio del codice dei beni culturali impegna lo Stato a conservare in modi appropriati i beni culturali che gli appartengono. E lo Stato opera attraverso le persone fisiche dei propri funzionari; quelli cui il bene culturale sia dato in consegna e custodia rispondono personalmente delle condizioni di abbandono in cui lo abbiano lasciato e delle conseguenze dannose. Il codice dei beni culturali e lo stesso codice penale prevedono speciali reati di lesione alla integrità del bene culturale e il nostro esposto li indicava esplicitamente, segnalando il danno vistoso a un bene del patrimonio storico e artistico della Nazione, a un bene pubblico, cioè di tutti, che la Repubblica tutela per principio fondamentale della costituzione.
Diversa considerazione avrebbe avuto la denuncia di una offesa (per dire, un furto) alla proprietà privata, il terribile diritto e forse inutile, secondo il dubbio eversivo avanzato poco meno di tre secoli or sono da Cesare Beccaria (che per il furto avrebbe voluto più miti sanzioni).
Del nostro esposto neppure un cenno di ricevuta. Italia Nostra aveva chiesto di essere informata dell’eventuale archiviazione, ma non v’è stata ragione di informare l’associazione, perché di archiviazione non v’era stato bisogno. Evidentemente l’esposto neppure fu considerato fonte di notizia di reato (fosse pure, in ipotesi, infondata) ed è stato quindi subito cestinato, come un anonimo o uno scritto stravagante che non merita alcuna considerazione perché non attiene alle attribuzioni proprie del pubblico ministero. Stessa sorte la sollecitazione verso il Procuratore presso la Corte dei Conti rimasto indifferente al grave danno (erariale) al patrimonio dello Stato menomato dalla protratta inadempienza della cura conservativa negata alla Caserma Garibaldi.
Chiaro l’intento di Italia Nostra, non certo punitivo verso le sconosciute persone fisiche dei funzionari in concreto (e con difficoltà) identificabili come responsabili della inefficiente custodia (e l’Agenzia del Demanio è fornita della necessaria disponibilità economica per la manutenzione dei patrimoni ad essa affidati?). Si intendeva porre il problema della responsabilità dello Stato nella cura del proprio demanio culturale e forzare il muro della indifferenza istituzionale di fronte al progressivo degrado (dunque arrestabile) di un importante monumento della storia della città.
Un intento, dobbiamo ora riconoscere, velleitario. Il sistema non assicura, di fronte all’inosservanza degli obblighi conservativi, neppure l’estremo presidio della tutela giurisdizionale al patrimonio storico e artistico della Nazione. L’attuazione dell’art. 9 della costituzione incontra ancora insuperate difficoltà.
Italia Nostra si ostina tuttavia a credere, fosse pure l’unica voce, che la salvezza non possa rimanere affidata alla convenienza economica del sollecito intervento privato che metta a profitto la superiore qualità del bene culturale.

Modena, 7 aprile 2020.

 

 

(1) Su idea dell’arciduca Massimiliano d’Austria, fratello di Francesco IV, nel 1821 fu creata l’Accademia Nobile Militare Estense. Gli ingegneri Giacomo Parisi e Sigismondo Pelloni curarono la risistemazione (1924) degli ambienti già appartenuti ai padri di San Pietro fino alla parentesi napoleonica quando nel monastero, trasformato in caserma, si era insediata la Scuola Nazionale del Genio e dell’Artiglieria. Francesco IV con la Restaurazione aveva richiamato in città i monaci benedettini, incamerando però nelle proprietà ducali una buona parte dei loro locali e in particolare quelli affacciati sull’attuale viale della Rimenbranza.
La grande sobrietà del fabbricato è infranta nella zona di ingresso con il motivo a tempio. Interessante constatare che l’ordine dorico utilizzato, privo di base e con un capitello fortemente schiacciato, si rifa al mondo ellenico arcaico. Al di sopra delle colonne, che originariamente poggiavano sul piano di calpestio secondo il modello del tempio greco, si eleva una trabeazione priva del fregio dalla quale si innalza il timpano triangolare con la finestra termale nella parte centrale. Le ali laterali si caratterizzano per la presenza alle estremità di un corpo aggettante e chiuso superiormente da un timpano triangolare mosso da una finestra che reinterpreta la serliana.

Fonte immagine: Comune di Modena