Lodevole la recente decisione di aprire alla città le porte del complesso degli edifici che sono stati per oltre due secoli l’Ospedale Sant’Agostino, l’occasione attesa da quando, esaurita la funzione poco più di dieci anni fa, ne è stata acquistata la proprietà dalla Fondazione Cassa di Risparmio. Oltre il vano di ingresso, dal centrale gran cortile che disegna la forma a tenaglia del corpo settecentesco, l’avvio verso il cortile più interno sul quale si affaccia anche l’insediamento universitario con lo storico teatro anatomico attivo agli studi fino a qualche decennio fa; poi l’articolazione dei padiglioni che hanno trovato sede negli edifici contigui al nucleo settecentesco nel processo di aggregazione – l’accrescimento sviluppato fin oltre la metà del Novecento, come ben si coglie per altro nella rappresentazione fotografica dall’alto. Una parte della città definita nella morfologia – l’impianto planovolumetrico – dettata e qualificata dalla speciale funzione ospedaliera. Non un generico contenitore per nuove funzioni urbane che ben possano forzarne e dilatarne le fisiche strutture per rendere massima la capacità degli spazi astrattamente disponibili; un complesso e caratterizzato organismo architettonico, invece, che, pur nel diverso impiego – necessario, s’intende, a preservarlo e tramandarlo -, mantiene integri i segni della sua storia e dell’esaurito servizio alla città.
Crediamo che l’apertura ai modenesi del loro Ospedale Sant’Agostino li abbia convinti che la generosa offerta di ospitare istituti di cultura si porrebbe in contraddizione con se stessa se non muovesse dal rispetto dovuto alla vicenda storica dello speciale insediamento urbano, per essere convertito alla nuova funzione senza alterazioni che ne cancellino sia pure parzialmente i profili compositivi caratterizzanti. Dunque sono ammissibili le sole demolizioni di corpi di fabbrica di recente aggiunti in contrasto con la logica del processo storico di accrescimento (come l’ex pronto soccorso calato nel cortile retrostante all’ala dell’ospedale militare contro il prospetto ottocentesco disegnato dall’architetto Costa, ma sia esclusa la ricostruzione di un analogo volume che confermerebbe l’ingombro contro la spazialità di quel cortile). E improponibile è la copertura del più ampio spazio interno inedificato, il centrale gran cortile, sottratto alla funzione architettonica essenziale nel nucleo settecentesco e degradato a utilitario contenitore di quantità, così irrigidita la struttura e interrotta la continuità del principale percorso interno. Quando, riconosciuta dopo oltre dieci anni (perduti!) l’assurdità di portare lì le due storiche biblioteche che bene stanno nel fronteggiante Palazzo dei Musei, è caduta ogni esigenza funzionale di forzare le storiche strutture architettoniche dell’Ospedale Sant’Agostino. Un risultato straordinario: la città acquista spazi vitali per le sue istituzioni di cultura attraverso la rispettosa valorizzazione della sua storia. Qui sta, crediamo, l’autentica modernità, contro gli esercizi di stile di pretenziosi, funzionalmente non necessitati, innesti modernizzanti.
E se come pensiamo che debba avvenire, il progetto avviato verso l’accordo di programma (fermato alla forse inutile variante urbanistica) non  troverà l’approvazione della Istituzione della tutela che ha rivendicato sul punto, e fuori conferenza di servizi, la sua piena autonomia, non si reagisca con dispetto e sterile rifiuto, ma si riconosca e colga la opportunità di riportare il progetto (misurato sulla funzione di polo librario – ora caduta – e superato negli anni) al modello conforme alla disciplina di corretto recupero che certo non si oppone alle diverse destinazioni e anzi ad esse conferisce, per usare una espressione altrimenti invalsa, un riconoscibile valore aggiunto.

Italia Nostra Modena, 19 dicembre 2018.

 

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