Quali novità per il Sant’Agostino? Il Sindaco si dichiara soddisfatto: oltre otto mesi di conferenza di servizi per avere il consenso della Provincia (lui la presiede) alla variante urbanistica.

Il Sindaco vanta un primo importante successo. La conferenza di servizi convocata ai primi del luglio 2017 per approvare l’accordo di programma sul progetto di ristrutturazione proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio per il complesso dell’ex Ospedale Sant’Agostino si è trascinata stancamente per oltre otto mesi, frenata dall’insuperato dissenso della Soprintendenza. Finché la conferenza, nell’ultima sua seduta di marzo, si è determinata a formalizzare l’asserito unanime consenso alla variante urbanistica (che esonera quel complesso monumentale dalla prescrizione di restauro per gli interventi sugli edifici del centro storico soggetti alla tutela del codice dei beni culturali). E intanto si mandi avanti dunque la variante.

Ma si tratta di una mera finzione, l’artificio per nascondere il persistente dissenso dell’ufficio periferico del ministero beni culturali (la Soprintendenza rappresentata dalla Segreteria regionale beni culturali), convocato nella conferenza di servizi per dare il proprio assenso al progetto, la cui approvazione è il tema dell’accordo di programma. La variante urbanistica non può costituire funzionalmente l’oggetto di una autonoma determinazione dei soggetti chiamati alla conferenza, perché sul punto la soprintendenza/segreteria regionale non ha competenza e al riguardo non può darsi unanime consenso, quando l’assenso dell’ufficio di tutela può essere dato soltanto sul merito del progetto. Sul quale convergono appunto le tre distinte competenze: del Comune per permesso di costruire e variante, della Provincia per la variante (in ragione delle sue attribuzioni urbanistiche), della Soprintendenza/Segreteria regionale per l’autorizzazione dell’intervento (secondo l’art.21 del codice beni culturali) e l’approvazione delle previste demolizioni (la Segreteria rappresenta la Commissione regionale per il patrimonio culturale). L’oggetto dell’accordo di programma è inscindibile: l’approvazione comunale del progetto di ristrutturazione in contrasto con il vigente piano strutturale implica la variante sul punto e i tre distinti assensi, in ragione delle differenziate attribuzioni, concorrono alla complessa unitaria determinazione di accordo/provvedimento che abilita l’intervento e vale insieme come permesso di costruire con relativa variante urbanistica e autorizzazione secondo codice beni culturali.

La conferenza di servizi dopo oltre otto mesi di impegno si è limitata a registrare il consenso della Provincia alla variante urbanistica proposta dal Comune, sulla quale non ha voce l’ufficio periferico del Ministero beni culturali. Un nulla di fatto coperto dall’artificio di una formale determinazione della conferenza e costituisce un espediente di comodo la formale registrazione dell’assenso di Comune, Provincia, Soprintendenza/Segreteria regionale sulla variante urbanistica. Non può dirsi insomma che si “sia verificata la possibilità di un consenso unanime sulla proposta di accordo di programma” che necessariamente comprende il progetto definitivo (art.40, comma 3, legge regionale 20/2000) e non è dato quindi di avviare, come invece ha deliberato la conferenza di servizi, lo sviluppo del procedimento (secondo la disciplina  dello stesso comma 3). Non vorremmo che il procedimento procedesse oltre fuori dai binari della legittimità.

Svaluta il Sindaco il dissenso di soprintendenza/segreteria regionale beni culturali. Non considera che la Commissione regionale per il patrimonio culturale dell’Emilia Romagna ha approvato la rimozione delle sole indiscutibili superfetazioni (e quindi neppure la demolizione prevista sulla cortina lungo la Via Ramazzini per aprire un nuovo accesso su quel lato), mentre ha negato esplicitamente l’assenso alla demolizione non solo del risvolto verso l’interno dell’edificio che fu sede dell’“Istituto clinico dermosifilopatico” (e affaccia su Via Berengario), ma pure del contiguo vasto e centrale corpo di fabbrica dell’“Istituto Pediatrico, già Antico Ospedale poi Sala Celtica”. Di questo edificio ha approvato la rimozione delle sole più recenti superfetazioni da valutare anche attraverso le suggerite verifiche stratigrafiche, salvo quindi l’impianto planimetrico (che invece il progetto amplia vistosamente con demolizione integrale e libera ricostruzione, per fare del sottosuolo la sede dei complessi centrali impianti di servizio). Sono prescrizioni non certo di dettaglio esecutivo che esigono il rifacimento del progetto.

Al Consiglio Comunale, chiamato a pronunciarsi sull’ordine del giorno proposto dal gruppo 5Stelle e su quello contrapposto della maggioranza, sono mancati essenziali elementi di informazione, perché non è stata data pubblicità al verbale della più recente determinazione della conferenza di servizi e dei relativi allegati. I Consiglieri Comunali non hanno avuto accesso agli atti originali che riflettono le valutazioni dei diversi uffici del ministero beni culturali e pure al verbale della seduta dei riuniti Comitati tecnico-scientifici del Consiglio Superiore dei beni culturali, che hanno espresso il loro parere sul progetto. Ai Consiglieri è stato negato di conoscere che a quella seduta dei Comitati ha partecipato, benché priva di competenza nel merito della tutela (certo, senza diritto di voto), la Segretaria generale del ministero, funzionario autorevole, in ragione del più elevato ruolo burocratico, la stessa persona che da direttore regionale incompetente aveva approvato l’originario progetto e perciò la sua illegittima autorizzazione fu poi annullata dal Tar; e pure è stato negato di apprendere che la seduta non è stata presieduta dal più anziano e prestigioso Presidente del Comitato tecnico-scientifico per il paesaggio, che ha giustificato l’assenza per “concomitanti impegni”, omettendo di informare i colleghi che egli versa per altro in una situazione di conflitto di interesse, perché parliamo della stessa persona che fece parte della commissione che allora prescelse il progetto dell’Aulenti (con le due ora superflue torri) e oggi presiede il Comitato consultivo (lo diciamo nella parlata dei padri) che assiste alla realizzazione del rinnovato progetto oggetto della consulenza dei Comitati.

Il Sindaco infine non si è lasciato sfuggire l’occasione per riproporre il consueto schema polemico di comodo che addebita il più che decennale ritardo alle contestazioni formalistiche “di un pezzo largamente minoritario della città” e mette come si dice le mani avanti, immaginando che quel “pezzo”, come “ha cercato”, “forse cercherà ancora di bloccare ogni investimento e cambiamento”. Sappia fare il Comune le cose nel rispetto della legalità della pubblica amministrazione (un minimo irrinunciabile) e non ci saranno certo motivi per nuove contestazioni giuridiche come  dice il Sindaco. Siamo dunque costretti ancora una volta a ripetere che Italia Nostra si oppose motivatamente al progetto originario del trasferimento nel Sant’Agostino delle due biblioteche, l’Estense e la Poletti. E che fosse un’idea sbagliata lo hanno dovuto riconoscere così il Mibact (che ha saldato formalmente per decreto ministeriale il nesso inscindibile tra Biblioteca e Galleria Estensi), come il Comune che ha receduto dal proposito di mandar di là la sua Poletti e ha fatto sua la ragionevole proposta (2006) di Italia Nostra di aprire invece il Sant’Agostino alla Galleria Civica e al Museo della Figurina (tutto il Santa Margherita alla civica Biblioteca Delfini). L’opposizione di Italia Nostra è valsa dunque a evitare una scelta generalmente riconosciuta sbagliata e se, invece del tardivo pentimento di oggi, si fossero condivise allora le ragioni della proposta alternativa motivata da Italia Nostra, non è arbitrario supporre che già la città disporrebbe dell’innovativo  e straordinario apparato di servizi culturali.

E’ dunque rimasto in discussione il progetto di recupero delle strutture architettoniche dello storico complesso ospedaliero, tema culturale esso stesso che non può essere subordinato alle esigenze funzionali della nuova utilizzazione (come disinvoltamente hanno invece suggerito i Comitati del Consiglio Superiore, tradendo il loro ruolo).  Il progetto architettonico proposto dalla Fondazione proprietaria si qualifica dichiaratamente come ristrutturazione e appunto per ciò comporta la variante che lo esoneri dai modi di intervento per restauro e risanamento conservativo, lì prescritti dal vigente piano strutturale. Italia Nostra crede che ragioni di cultura e prescrizioni cogenti di codice dei beni culturali (che a quella cultura si ispirano) impongano per il corretto recupero del Sant’Agostino la strategia conservativa del restauro. Che vieta in particolare anche la copertura del gran cortile, non più oggi indispensabile funzionalmente, caduta definitivamente la ipotesi del polo librario, nominativamente salvata dai solleciti Comitati riuniti per confermare la ragione di risucchiare all’interno delle settecentesche strutture il libero spazio del cortile.

 

Modena, 23 aprile 2018.