Parco Novi Sad: esposto su archiviazione 24 genn. ’12

 PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MODENA (procedimento N.4896/2011 – 21 noti)

AL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI PRESSO IL TRIBUNALE DI MODENA

Italia Nostra, associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione, riconosciuta come persona giuridica con D.P.R. n. 1111 del 1958, con sede in Roma, viale Liegi, n. 33, che svolge attività “di rilevante interesse pubblico” “nel campo della tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione”(art.1, legge 23 maggio 1980, n. 211) ed è portatrice degli interessi diffusi alla “tutela”, nella persona del presidente, legale rappresentante, Alessandra Mottola Molfino (nata a Roma il 24 aprile 1939 e residente ad Argenta – Ferrara -), rappresentata e difesa, per procura a margine del presente atto, dall’Avvocato Federico Gualandi, nel cui studio in Bologna, Galleria Marconi, n. 2, elegge domicilio,

che già è intervenuta nel procedimento N.1203 / 09 – 45rancr con l’atto di opposizione alla precedente richiesta di archiviazione,

dichiara di intervenire (legittimata a  norma degli artt. 91 e 93 c.p.p.) nel procedimento N. 4896 / 2011 – 21 noti,  pendente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Modena a seguito della ordinanza 27 giugno 2011 del Giudice per le Indagini Preliminari dello stesso Tribunale, essendo l’intervento giustificato dalla ragione di contrastare la chiusura delle indagini, e a tal fine 

propone  opposizione ex art. 410 c.p.p.

alla Richiesta di archiviazione presentata dal Procuratore della Repubblica al Giudice il 12 gennaio ultimo scorso (e comunicato alla Associazione via e-mail il successivo 16 gennaio),

chiedendo la prosecuzione delle indagini attraverso:

1.l’acquisizione documentale dei progetti (definitivo ed esecutivo), con il relativo corredo grafico e le delibere di approvazione della giunta comunale, relativi alla costruzione  del parcheggio per autoveicoli in Modena nel sottosuolo del Parco Novi Sad – ex Ippodromo e alla sistemazione del colmo di copertura;

2. L’acquisizione dei documenti fotografici storici conservati nel “Fotomuseo Giuseppe Panini” (Modena, Via Giardini, 160) relativi all’Ippodromo e alle sue trasformazioni dall’ultimo quarto dell’Ottocento ai giorni nostri;

3. la richiesta che si proceda ad incidente probatorio per la perizia diretta a valutare gli effetti del provvedimento ministeriale 10 giugno 1985, che ha riconosciuto il particolare valore storico e artistico dell’Immobile “Ippodromo” (perciò appartenente al demanio culturale del Comune di Modena), sulla materialità stessa del bene, nonché ad accertare se l’opera come realizzata sia conforme al progetto esecutivo,

per i seguenti

                                                       MOTIVI                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              La motivazione della reiterata richiesta di archiviazione si esaurisce in realtà nel mero rinvio all’”accurata verifica compiuta dai   professionisti incaricati” dallo stesso Pubblico Ministero, dalla quale sarebbe risultato “che i lavori eseguiti nel Parco Novi Sad si sono svolti nel rispetto delle norme poste a tutela dei beni di interesse archeologico e culturale e della specifica natura del vincolo imposto col decreto di tutela del bene”. Questa proposizione meramente assertiva è poi seguita da una affermazione in diritto secondo cui “la tutela del bene culturale ai sensi dell’art.6 del D.lgs. 42/2004 non impedisce infatti interventi come quello in esame che siano attuati in forme compatibili con la natura e i fini della tutela e tali da non pregiudicare le esigenze della conservazione”.

Non è il caso di formalizzarsi sulla improprietà del riferimento normativo all’art. 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (il decreto legislativo n. 42 del 2004, corretto e integrato con decreti del 2006 e del 2008) che sta nei primi nove articoli delle “disposizioni generali” come prima parte dello stesso codice e detta la definizione di “valorizzazione del patrimonio culturale”, sicché non offre alcun ausilio per la risoluzione del quesito posto dalla concreta fattispecie (diversamente sanzionata dal successivo art. 20).

Osserviamo invece che l’affermazione è l’enunciato di un ovvio e  generalissimo principio di gestione della tutela che sarebbe stato osservato dall’intervento “in esame” e dunque implica il rimando alla effettiva consistenza dell’opera.

Sulla materialità della quale non v’è in sostanza incertezza alcuna, poiché neppure il Pubblico Ministero e i suoi consulenti fiduciari negano che, in funzione esclusiva della realizzazione del vasto parcheggio interrato, l’Ippodromo, come realizzato negli anni Settanta dell’Ottocento con la triplice concentrica pista ellittica e riconosciuto  bene di interesse culturale particolarmente importante, è stato integralmente demolito per ricavare l’ampia cavità (la voragine, così definita da entrambi i consulenti) capace di ospitare l’edificio in cemento armato della pubblica autorimessa.

L’immobile che era l’Ippodromo sarà infine ripristinato in superficie come l’attrezzato “tetto del garage” (pagina 7 della relazione di consulenza Scagliarini) con rampe di accesso e uscita dei veicoli, vaste griglie di aerazione, corpi edificati in elevazione per il passaggio  pedonale con annesso ascensore di servizio e con i due padiglioni a corredo del “parco archeologico” pensile realizzato con la elevazione a livello di quanto più significativo è stato rinvenuto in profondo e pressappoco sulla verticale.

Preme subito registrare che la ricostituzione del colmo del parcheggio non avverrà al medesimo livello dell’Ippodromo, perché sforerà, come ammette lo stesso consulente Tassoni che si affida per altro (pagina 23 della sua relazione) ai rilievi del direttore dei lavori, non meno di un metro e venti centimetri (ma i rilevi attuati dal tecnico incaricato da Italia Nostra accertano un valore prossimo a due metri) e dunque si tratta in ogni caso di una vera e propria struttura edilizia in elevazione.  Una complessa costruzione radicalmente innovativa, realizzata nello spazio di risulta dalla integrale demolizione (vera e propria distruzione) dell’originario Ippodromo – Parco Novi Sad, il cui assetto di superficie non potrà certo dirsi ripristinato con la copertura della struttura cementizia, perfino sopraelevata rispetto alla quota preesistente, attrezzata in funzione della pubblica autorimessa.

Che questo assetto risultante dalla costruzione della vasta infrastruttura a servizio della mobilità urbana sia conforme alle esigenze di tutela dell’Ippodromo ottocentesco, insediato nell’area della secentesca cittadella estense, il consulente Tassoni  può affermare sul dichiarato presupposto che il vincolo di tutela non abbia ad oggetto quello specifico bene immobile nella sua consistenza fisica (di suolo e sottosuolo, come più oltre si dirà), ma si esaurisca in sostanza nella mera generica prescrizione di destinazione dell’area a giardino, che ben potrà essere realizzato –sua convinzione – anche sul tetto del garage, come famosissimi giardini pensili  la storia fin dai suoi albori ci tramanda (ma il Consulente neppure considera che il sottile strato di humus gettato sulla soletta cementizia di copertura consentirebbe soltanto un gracile soprassuolo vegetale, ben più esile delle alberature ad alto fusto preesistenti e abbattute).

Quanto sia erroneo un simile presupposto è agevole riconoscere. Il vincolo di tutela (osserviamo in linea di principio) è posto sul fondamento dell’accertato interesse culturale dello specifico bene nella sua concreta consistenza fisica, così come la storia lo ha conformato e ce lo ha consegnato nella sua irripetibile identità. E se si tratti di un bene immobile la tutela comprende suolo e sottosuolo secondo la stessa estensione dell’esercizio della proprietà  (art.840 del Codice Civile) e non si ferma alla mera apparenza dell’assetto esteriore di superficie in ipotesi sempre ripristinabile pur all’esito di radicali trasformazioni. Se così non fosse, nulla si opporrebbe alla demolizione pure delle architetture storiche, alla sola condizione della loro fedele ricostruzione.

Il sistema della tutela del patrimonio storico e artistico nel nostro ordinamento, quale definito nel Codice dei beni culturali e del paesaggio e secondo la tradizione delle leggi di tutela dello stato unitario (1909 e 1939), è improntato infatti al rigoroso criterio di realità, testualmente espresso con il costante riferimento alla materialità delle “cose” qualificate dallo speciale interesse culturale.

Il consulente Tassoni, dovendo – per rispondere a uno specifico quesito – definire quale ragione presiedesse al vincolo introdotto con il decreto del 1985, quale cioè fosse stata la considerazione del bene come meritevole di tutela, richiama una asserita definizione dello specifico vincolo come “giardino di interesse storico testimoniale”. Espressione messa tra virgolette come per alludere a una sorta di classificazione ufficiale, ma il consulente non dice da quale mai fonte l’abbia ricavata. Basterà rilevare che quell’espressione è assolutamente estranea al lessico della tutela  istituzionale in rapporto alle specifiche tipologie di beni culturali indicate nell’articolo 10 del Codice e riflette piuttosto la terminologia della prassi urbanistica nel definire i vincoli imposti sui singoli beni dagli strumenti appunto urbanistici, come prescrizione di destinazione dell’area. E il consulente si impegna nel definire l’”accezione comune” del giardino e si affida alla evocazione dei più illustri “giardini pensili” della storia, per concludere che l’interesse del giardino così inteso sarebbe limitato alla “sola parte del terreno che lo costituisce”.

Ma non è vero affatto, è agevole constatare, che l’Ippodromo ottocentesco modenese sia stato riconosciuto e vincolato come bene culturale per la sua generica qualità di giardino e per convincersene basta leggere il decreto ministeriale del 1985 ripreso testualmente nel provvedimento (agosto 1996) del direttore regionale per i beni culturali che autorizzò il trasferimento dell’immobile dal demanio statale a quello comunale e dettò prescrizioni conservative della configurazione storica del luogo (che “occupa una posizione particolarmente significativa nell’assetto urbanistico, nel quale mantiene la testimonianza storica di precedenti forme e funzioni”, così il decreto del 1985) e in particolare  dispose il “restauro dell’anello dell’ex ippodromo nella sua interezza” con il ripristino nei brevi tratti in cui era stato interrotto dal disegno incongruo della viabilità pedonale.

Il vincolo così argomentato, e con l’autorizzazione del 1996 disciplinato in un vero e proprio progetto speciale di tutela, è per certo tradito dalla trasformazione in una gigantesca autorimessa (il “secondo più grande parcheggio sotterraneo d’Italia”, vanta orgogliosa l’Amministrazione comunale) che definitivamente cancella dall’assetto urbanistico “la testimonianza storica di precedenti forme e funzioni” che il decreto del 1985 aveva constatato allora concretamente riconoscibile e aveva prescritto che fosse mantenuta. La consulenza non ha certo aiutato a capire, ma al contrario ha palesemente frainteso il senso incontestabile di una puntuale pertinente tutela.

Ripeteremo quanto già dicemmo nella opposizione alla precedente richiesta di archiviazione e il GIP ha espressamente condiviso nella sua ordinanza che ha negato l’archiviazione e cioè che la prima istanza della tutela è quella conservativa della integrità fisica del bene culturale, come è pregiudizialmente affermata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio nel capo III (Protezione e conservazione) del Titolo I (Tutela) della Parte Seconda (Beni Culturali) e specificamente negli articoli 20 e 29.

Gli unici ammissibili interventi che incidano sulla integrità fisica del bene culturale sono quelli dettati dalle stesse esigenze di tutela e realizzati in funzione di una più sicura salvaguardia e non certo per corrispondere ad interessi siano pure legittimi, ma diversi ed estranei, anzi in conflitto con quelle esigenze. Il ruolo di primarietà assegnato dalla Costituzione (art.9) al patrimonio storico e artistico della nazione (come il Giudice delle leggi ha da sempre riconosciuto) non consente che la “tutela” sia messa in bilanciamento con altri interessi che ad essa si oppongano e sui quali anche se di rilevanza pubblica deve invece sempre prevalere.

Lo ha recentemente affermato anche la Suprema Corte di Cassazione chiamata a giudicare della legittimità del sequestro preventivo del cantiere dei lavori per la costruzione di un parcheggio sotterraneo nel Parco dell’Acquasola a Genova. Una vicenda del tutto e sorprendentemente analoga a quella dell’Ippodromo ottocentesco – Parco Novi Sad a Modena. Come a Modena (vogliamo sottolinearlo, tempestivamente all’apertura del cantiere, il 3 novembre 2009!) così a Genova, Italia Nostra aveva segnalato alla Procura della Repubblica l’avvio dell’intervento parzialmente distruttivo programmato dentro lo storico parco e, su sollecita richiesta di quel Pubblico Ministero, il GIP ha disposto il sequestro del cantiere, confermato dal Tribunale del Riesame e infine della Cassazione.

Alla testuale diffusa argomentazione di questa sentenza (n. 42065 del 10 novembre 2011) Italia Nostra potrebbe esclusivamente rimettersi per motivare in questo procedimento l’opposizione alla richiesta di archiviazione fondata sulle stesse ragioni espressamente censurate dal Supremo Collegio. E converrà qui rileggere il punto 6. e conclusivo di questa importante decisione: “L’insieme degli elementi così richiamati consente alla Corte di giungere ad una prima    conclusione: interventi che incidano sulla conservazione e l’integrità del bene storico sono possibili, e dunque autorizzabili, esclusivamente qualora essi mirino a valorizzare o meglio utilizzare il bene protetto, anche mediante modifiche d’uso che ne salvaguardino, pur in una prospettiva  di adeguamento al mutare delle esigenze, la natura e il valore. Ciò non sembra avvenuto nel caso di specie, dove gli interventi sul bene protetto non sono stati progettati e realizzati con la finalità di salvaguardare e valorizzare la sua natura storica e di attualizzare la  destinazione pubblica che gli appartiene , bensì con la finalità di soddisfare beni e interessi diversi che con quella natura e quella destinazione non hanno relazione alcuna e, anzi, si caratterizzano in concreto come interessi contrapposti”. A Genova, come a Modena, anche la soprintendenza aveva approvato la realizzazione di un parcheggio automobilistico interrato attraverso la parziale demolizione del parco pubblico vincolato e (come è stato ribadito dalla Cassazione) l’autorizzazione del soprintendente non è valsa a legittimare una condotta espressamente vietata dall’art. 20 del Codice dei beni culturali e anzi (lo aveva testualmente affermato il GIP di Genova) la stessa rilasciata autorizzazione costituisce elemento integrativo della fattispecie criminosa. In quel procedimento era rimasto tuttavia unico indagato il titolare della impresa concessionaria dell’opera che aveva attivato il relativo cantiere iniziando i lavori di scavo nel parco.

I principi affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza 42065/2011 erano stati, si deve segnalare, già enunciati in termini analoghi – e incisivamente – nella ordinanza del GIP di questo Tribunale che aveva, proprio sul fondamento degli stessi principi, negato l’archiviazione richiesta dal P.M. e aveva indicato le ulteriori indagini ritenute necessarie, innanzitutto la documentazione relativa ai progetti dell’opera come approvati dalla Amministrazione comunale e dalle Istituzioni statali della tutela, Soprintendente e Direttore Regionale, allora, ma ancora, non acquisiti agli atti.

Il P.M. non mostra nella sua pur rapida motivazione di aver tenuto  conto dei principi e delle valutazioni espressi dal GIP e proprio perché non li condivideva sarebbe stato forse più opportuno che promuovesse l’incidente probatorio per una perizia che verosimilmente sarebbe stata affidata non a un esperto di discipline  ingegneristiche ma a uno studioso specificamente competente in tema di principi  della tutela e metodologia di intervento sui beni culturali.

Il Pubblico Ministero, è ben vero,  ha richiesto e ottenuto anche la consulenza di una studiosa archeologa dell’Università di Bologna che ha concluso per la correttezza dell’eseguito scavo stratigrafico (e non ne dubitavamo), con la rimozione di quanto significativo è stato reperito nei molteplici strati riferibili alle diverse epoche. E ha pure espresso il suo consenso alla sistemazione di quei reperti “sopra il tetto del garage” (seconda riga di pagina 7 della sua relazione, senza inorridire dell’accostamento), dunque tutti al medesimo livello pur se estratti dai diversi strati, in una sorta di parco archeologico artificiale che contraddice il senso di questa speciale forma di fruizione – valorizzazione del patrimonio archeologico espressamente contemplata dall’art. 101 lettera d) del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ovviamente fondata sul rigoroso rispetto del giacimento come reperito e in quell’originario assetto esposto alla fruizione.

Dunque un parco archeologico falso ad arredo di prestigio di una pubblica autorimessa e con l’effetto di introdurre nuove ingombranti costruzioni dentro lo spazio inedificabile, anche per prescrizione del vigente piano regolatore, dello storico Ippodromo.

I due padiglioni per i servizi di accoglienza e per  l’esposizione museale di un campionario degli innumerevoli oggetti raccolti nel fondo (ma pure un vistoso apparato di copertura della pseudo-cisterna portata su con il suo contenuto di anfore) erano apparsi dapprima come “un elemento di disturbo” anche alla Direttrice Regionale per i beni culturali e paesaggistici (sua autorizzazione 15 luglio 2011). La Direttrice aveva perciò invitato il Comune “a verificare la possibilità di eliminare le due costruzioni e di ospitare i servizi in essi previsti all’interno degli spazi sottostanti”, ma si era poi piegata all’esito negativo della verifica, essendo stato ritenuto inaccettabile il sacrificio di preziosi posti macchina sotto coperta.

Anche l’archeologia così esercitata milita dunque contro la tutela dello storico bene culturale Ippodromo ottocentesco e la costruzione dei due padiglioni del finto parco archeologico comporta un ulteriore vulnus alla integrità del luogo che il decreto del 1985 aveva voluto preservare perché mantenesse intatta con la sua “posizione particolarmente significativa nell’assetto urbanistico” “la testimonianza storica di precedenti forme e funzioni”.

Riprendendo conclusivamente in sintesi gli argomenti fin qui analiticamente sviluppati, basterà ribadire che “l’immobile Ippodromo” come descritto nel decreto del 1985 fu assoggettato a tutela nella fisica consistenza del suo assetto funzionale con la pista ellittica allestita nel 1872 su progetto di Luigi Gandini e Luigi Gregori, essendo stata così trasformata l’”area dell’antica Piazza d’Armi della cittadella seicentesca che nel 1783 era stata sistemata a prati scanditi da viali di platani per volere del Duca Ercole III”, dunque in un luogo cruciale nella città di antica fondazione; che la tutela di ogni immobile necessariamente comprende il sottosuolo e specie se si tratti di uno spazio urbano storico le cui fondazioni conservano i sedimenti della vicenda millenaria della città, come è stato nella specie confermato dai ritrovamenti dello scavo preventivo, con la riprova della assoluta incompatibilità dell’intervento che avrebbe cancellato ogni traccia della storia documentata in quel luogo con le trasformazioni ottocentesche nell’Ippodromo; che così integralmente demolito l’Ippodromo, nulla è rimasto dell’immobile oggetto della tutela, in luogo del quale sta per essere completata la costruzione della vasta infrastruttura a servizio del traffico automobilistico privato, la cui copertura (“il tetto del garage” così registrato anche dalla consulente archeologa del P.M) si eleva di non meno di un metro e venti rispetto al livello preesistente ed è funzionalmente attrezzata a servizio del parcheggio,  con le rampe veicolari di entrata e uscita, le vaste griglie di aerazione, i corpi in elevazione per il passaggio pedonale con relativi ascensori e infine gli ingombranti padiglioni del finto parco archeologico.

Non si saprebbe immaginare una più radicale distruzione di “cosa di interesse storico e artistico” e di immobile compreso nel perimetro del centro storico (art. 635, 1° e 2° comma, sub 3, del codice penale), né destinazione più di questa “pregiudizievole per la integrità” del bene culturale (articoli 20 e 170 del Codice dei beni culturali e del paesaggio).  Sicché, negata l’archiviazione, potrebbe perfino ritenersi che ogni altra indagine sia superflua e che già sussistano le condizioni per la formulazione dell’imputazione.

Modena – Bologna, 24 gennaio 2012.

Avvocato Federico Gualandi.