Inarrestabile la perdita della Modena pubblica (cioè di tutti)? Caserma Fanti, Caserma Garibaldi. Verso la privatizzazione – per fare residenza di pregio – più della metà del comparto della Stazione Piccola

Nel marzo 2020 era toccato alla Caserma Fanti (dismessa dal Demanio militare, rivendicata  dal Comune per sottrarla al mercato, ceduta alla Provincia per la sua sede, infine messa all’asta) acquistata da un’impresa privata dell’edilizia per farne un condominio di lusso. L’estate scorsa è stata la volta della Caserma Garibaldi (lì c’era stato il distretto militare) dalla Agenzia del Demanio venduta all’asta alla medesima impresa per analogo destino. Tradita la vocazione pubblica dei due edifici – monumenti tutelati per l’ascendenza al quattrocentesco insediamento benedettino e alla conversione in forme neoclassiche nella Restaurazione – che una Amministrazione civica consapevole avrebbe convertito a servizio della città (e invece il piano regolatore dà avvio alla privatizzazione, prevedendo il più ampio spettro delle destinazioni ammissibili per soddisfare tutti i capricci del mercato). In altri tempi per salvare il complesso dell’ex Caserma Santa Chiara, messo all’asta dal Demanio statale, fu convocato d’urgenza, a mezzo agosto, il Consiglio comunale che vi pose il vincolo peep di edilizia pubblica, l’asta andò deserta, il peep trovò i finanziamenti per il recupero e oggi lì ci sta anche il Truffaut (cui Modena deve la sua cultura cinematografica).

La fanno passare come rigenerazione urbana. E’ la messa sul mercato dell’edilizia di oltre la metà (4,2 ettari su 7,2 complessivi) del vasto complesso della Stazione Piccola, dal piano regolatore riservato alle attrezzature generali della città (ci vorrà quindi una variante). Lo ha stabilito l’accordo recentemente concluso da Comune, Regione Emilia-Romagna e Società a partecipazione regionale Ferrovie Emilia Romagna, cui oggi appartiene il compendio immobiliare. La Regione si propone la completa valorizzazione e successiva dismissione dell’area ferroviaria non più funzionale”. Nella logica rivendicativa della privata proprietà delle aree urbane, è il progetto di mera valorizzazione immobiliare del demanio ferroviario dismesso, attraverso la remunerativa conversione a edilizia residenziale. L’interesse pubblico non sta certo nell’intervento che sacrifica le previste attrezzature generali a una banale e casuale lottizzazione edilizia, enfaticamente caricata del compito rigenerativo.  L’interesse pubblico c’è, ma sta fuori dal comparto di intervento perché Ferrovie Emilia Romagna andrà, con le risorse della ottenuta valorizzazione, a razionalizzare la linea ferroviaria Modena – Sassuolo, sostituendo il passaggio a livello di Via Morane con il sottopasso verso Via Don Minzoni: un’opera che nel bilancio di quel diverso servizio deve trovare la appropriata copertura economica. Ed è un impegno che infatti non sta in alcuno dei 6 articoli dell’accordo formalizzato, intitolato ed esclusivamente dedicato a “Riqualificazione, valorizzazione e rigenerazione dell’area denominata Stazione Piccola”.

E’ un Accordo del tutto indifferente al significato della Stazione Piccola nella vicenda urbana novecentesca. Avamposto urbano come vasta area di comando di un moderno sistema di comunicazione e trasporto a innervare a raggera l’intero territorio della provincia. Del sistema sconsideratamente soppresso  a fine anni Cinquanta, il cedimento al mito vincente della gomma, sopravvive la sola linea per Sassuolo. La raffinata architettura eclettica dell’edificio primario della stazione è lo sfondo del lungo viale alberato in continuità con il Parco della Rimembranza, secondo un disegno di alto decoro urbano al quale si era adeguata la realizzazione di un vasto quartiere e perfino il complesso della ex GIL con il contorno di attrezzature sportive (ereditato dal Comune per pubbliche funzioni, avventatamente distrutto  negli anni Sessanta, una violenta privatizzazione). Mai era stata messa seriamente in discussione la intangibilità della vocazione pubblica della Stazione Piccola in rapporto di integrazione con l’attiguo Parco della Resistenza e fu in fretta liquidata la sfrontata proposta, mai formalizzata e assunta politicamente, di Modena Futura.  Del tutto appropriata quella annunciata dalla Giunta, ma costretta e forzata entro la sola stazione- viaggiatori, come sede regionale e provinciale della Fondazione Its Maker, per l’Istituto Superiore di formazione terziaria professionalizzante, legato allo speciale tessuto produttivo della meccanica modenese al quale il complesso della SEFTA offre ampi spazi per laboratori e sperimentazione (nel magazzino rimessa-innanzitutto) e la occasione di un ambizioso progetto di sviluppo secondo una dimensione regionale con l’impiego dell’intera disponibilità offerta dalla Stazione Piccola, un progetto che può fondatamente aspirare anche a finanziamenti statali. Unitaria funzione per un ambito inscindibile: la qualificata attrezzatura generale conferma e realizza la vocazione pubblica del complesso che fu la moderna infrastruttura voluta per assicurare alla città le vitali comunicazioni  con il territorio della provincia. Esaurita quella funzione, gli spazi fisici che l’hanno garantita rimangono integralmente riservati al nuovo impiego di servizio alla città di oggi. Sacrificare quasi il sessanta per cento del complesso al privato mercato delle aree edificabili, costituisce una ulteriore perdita irrisarcibile della Modena pubblica.

Modena, ottobre 2021.

Italia Nostra sezione di Modena.