A Palazzo Solmi (ma, prima, Palazzo Rangoni) non si addice la casa della modenesità.

Si è discusso nei giorni scorsi in Consiglio Comunale il destino di uno storico palazzo modenese (ma in realtà si tratta del nucleo centrale, il piano di rappresentanza) che dal demanio culturale dello Stato cui apparteneva è stato trasferito al Comune con le misure del così detto federalismo demaniale, a titolo gratuito, ma su un richiesto e impegnativo progetto di valorizzazione. Parliamo dell’edificio che dai proprietari del primo Novecento ha preso il nome, Solmi, e a quel tempo risale l’apertura dei negozi nella facciata di ristrutturazione settecentesca della dimora cinquecentesca della illustre casata dei Marchesi Rangoni. Fu il più importante palazzo in città prima di Modena capitale e, dopo, secondo soltanto al Palazzo Ducale. Ricordiamo che il balcone marmoreo che si affaccia sul cortile (lo ammirò il Burckhardt nel suo Il Cicerone, guida al godimento delle opere d’arte in Italia) fu fatto costruire nel 1540, su riconoscibile disegno di Giulio Romano, da Lucrezia Pico Rangoni, una figura di spicco nei cenacoli colti allora in Italia sensibili alla Riforma d’oltralpe. Settecentesca è la rivestitura architettonica della facciata e a quella ristrutturazione si debbono al piano nobile la preziosa Sala degli Specchi con i pannelli dorati alle pareti di gusto rococò e il fastoso salone centrale delle feste. Dopo la parentesi napoleonica (Napoleone era stato salutato nel salone delle feste, lì ebbe sede la Repubblica Cispadana e dal balcone sventolò il primo vessillo tricolore) il palazzo fu acquistato dal conte Bellentani che vi attivò una sala teatrale con fortunate stagioni di spettacolo. Impropri gli usi (come i veglioni e i bigliardi nel salone del teatro poi convertito a sala cinematografica di ultimo circuito) dei successivi decenni del Novecento, nel generale degrado dell’edificio, fatto nel frattempo oggetto di una anche minuta frammentazione della proprietà. Il nucleo centrale, il piano nobile, era stato acquisito dal Comune che poi non seppe che farsene e lo cedette nei primi anni 90 del Novecento allo Stato perché ne facesse la sede degli uffici della Soprintendenza per i beni storici e artistici. Il faticoso restauro, procedendo tra controversie di cantiere e lunghe pause, non fu portato a termine e infine la Soprintendenza ha rinunciato all’impiego per sé di quegli spazi. Questa stessa porzione del Palazzo Solmi ritorna infine, con il federalismo demaniale, al Comune di Modena. Ricordiamo che al tempo della proprietà comunale era stato rinvenuto e staccato dalla parete alle spalle del Salone il massello con l’affresco – la Crocefissione – riconosciuto della cerchia di Giovanni da Milano (trasferito nei Musei Civici), preziosa reliquia dell’originaria dimora quattrocentesca.
La discussione in Consiglio Comunale (come riferita nel comunicato dell’Ufficio stampa) non sembra che rifletta la coscienza degli effettivi valori dell’edificio, se le destinazioni considerate sono misurate sulla più recente stagione dell’illustre Palazzo che registra anche usi impropri e degradanti. Già si è detto che il progetto di valorizzazione dà ragione del trasferimento dal demanio culturale dello Stato a quello del Comune: l’evocazione di una modenesità di maniera (ben altra cosa tradizioni e cultura popolare, di severo impegno un progetto che le consideri) non può valere ad assegnare al nucleo essenziale dell’insigne monumento la funzione appropriata alla sua identità storica, se saputa intendere. La casa della modenesità non fa onore, crediamo, alla colta Lucrezia dei conti Pico della Mirandola.

Modena, gennaio 2021.

Italia Nostra, sezione di Modena.