In esecuzione la condanna a morte delle case operaie di Castelfranco Emilia.


Ma per cominciare sono con cura raccolti e messi al sicuro gli originari preziosi coppi di copertura per il lucroso reimpiego in restauri altrove. Come sane sono le strutture edilizie che ben si sarebbero prestate al risanamento conservativo, negato da una amministrazione comunale che cancella l’impegno tenace del sindaco socialista di inizio Novecento. Se questa è una amministrazione di sinistra. Da tempo non si era vista nella civile Emilia Romagna una così vasta azione del piccone risanatore dentro il compatto tessuto edilizio di un riconosciuto centro storico.
E sì che il piano regolatore valorizzava quel complesso di edilizia popolare come documento essenziale di cultura urbana – zona di interesse storico/ambientale – e ne prescriveva la rigorosa conservazione. Fu quindi necessaria una apposita variante che rimuoveva quel vincolo, lasciata con leggerezza passare dalla Provincia. Una congiura, si direbbe, perché la Soprintendenza ha negato la sua tutela istituzionale, rifiutando di riconoscere il proprio palese errore di identificazione dei fabbricati, e ha negato l’interesse culturale degli originari e perfettamente conservati corpi del vasto insediamento. Infine il presidente della giunta regionale neppure ha risposto all’appello che Italia Nostra gli aveva rivolto in campagna elettorale, certa che se avesse detto una sola parola le case operaie sarebbero salve.
Non è dunque vero, preoccupante constatazione anche nella nostra regione un tempo orgogliosa del suo primato al riguardo, che la moderna cultura della città storica sia patrimonio comune, riconosciuto da chi  porta la responsabilità del governo urbano. Una constatazione che ancora impegna Italia Nostra nella  civile del processo di degrado nella cura pubblica della città (di cui è saliente espressione la  legge urbanistica della Regione Emilia Romagna da due anni avviata a difficile attuazione).

Modena, 10 febbraio 2020

Italia Nostra sezione di Modena

Case Operaie 2