Manifattura tabacchi di Modena fra storia e vocazione negata.

PRO MEMORIA

 Una scelta urbanistica sbagliata, rimessa alla valutazione di convenienza della nuova (privata) proprietà, rivelatasi sbagliata, come oggi dobbiamo constatare. Italia Nostra aveva suggerito la destinazione ai nuovi insediamenti universitari (a Venezia la facoltà di architettura sta nel complesso dell’ex Cotonificio). Un progetto architettonico di radicale ristrutturazione degli spazi interni contro la vincolante disciplina di piano regolatore che lì prescrive restauro e risanamento conservativo. Colpevole la condiscendenza della Soprintendenza che approvò la radicale alterazione tipologica con lo spezzettamento dei grandi vani di laboratorio in oltre 150 appartamenti, unica manifattura del cessato Ente Nazionale Tabacchi convertita in condominio residenziale. La gradevole resa scenografica degli esterni non vale a riscattare la cancellazione del documento di archeologia industriale. Per la destinazione pubblica del comparto, cruciale nella vicenda urbana, Italia Nostra con sue Osservazioni aveva invitato il Consiglio Comunale a negare l’approvazione al “piano di recupero” di iniziativa privata. Riprendiamo, pro memoria, qui sotto le Osservazioni presentate da Italia Nostra (luglio 2007) e la relazione richiesta alla stessa associazione dal convegno torinese (maggio 2009, Le fabbriche del tabacco in Italia) organizzato da AIPAI e Politecnico di Torino.

1. Osservazioni del 21 luglio 2007
PER LA “MANIFATTURA TABACCHI” UN PIANO DI RECUPERO CONTRO LE NORME DI PIANO (PSC e POC) E DI REGOLAMENTO (RUE).IL CONSIGLIO COMUNALE NEGHI L’APPROVAZIONE A UN PIANO ATTUATIVO PALESEMENTE ILLEGITTIMO E RECUPERI IL POTERE DI GOVERNO PUBBLICO DELLE “TRASFORMAZIONI CONSERVATIVE” DI UN COMPARTO CRUCIALE NELLA VICENDA URBANA.

  1. Una necessaria premessa. L’Amministrazione comunale di Modena, a muovere dagli anni 60 e 70 del ’900, di fronte alla fondata previsione della imminente e auspicata  (in ragione della incompatibilità, aggravatasi nel tempo, con il tessuto residenziale circostante) chiusura dell’opificio della Manifattura Tabacchi, e al tema conseguente del recupero delle vaste e complesse strutture edilizie che erano state destinate da ben oltre un secolo a quella attività industriale, assunse un atteggiamento singolarmente timido e anzi perplesso. Non ebbe cioè la capacità di comprendere, da un lato, le potenzialità intrinseche a quelle strutture di conversione a un diverso uso compatibile, né di valutare, dall’altro, le esigenze che la comunità avrebbe potuto soddisfare con il recupero di quel vasto insediamento in un comparto cruciale del centro storico, al limite nord-ovest, in prossimità della stazione ferroviaria.  In luogo di assumere in proprio la responsabilità della innovazione con la previsione di specifiche destinazioni a effettivo servizio della collettività,  necessariamente perseguite attraverso un piano attuativo di iniziativa pubblica, che valesse a sottrarre una porzione così importante della città alla logica del mercato immobiliare, l’Amministrazione comunale si limitò ad affidare il comparto a un piano di recupero di iniziativa privata, prospettando la più vasta gamma di possibili “destinazioni d’uso” (“polifunzionali”), rimettendo dunque  la scelta al riguardo alla convenienza economica della  proprietà e del soggetto attuatore. Neppure di fronte alla precipitosa operazione di liquidazione del patrimonio dell’Ente Nazionale Tabacchi, sorprendentemente attuata per decreto-legge a cavaliere del Natale 2002 (decreto 23 dicembre, vendita, attraverso l’Agenzia del Demanio alla Fintecna, 27 dicembre), che rivelava il proposito della massima valorizzazione patrimoniale, l’Amministrazione avvertì l’esigenza di mettere quel complesso al riparo da possibili manovre speculative e di adottare (come avrebbe dovuto) le opportune misure con una apposita variante che garantisse il soddisfacimento di ben individuate esigenze della città.
  2. Nel vuoto di prescrizioni urbanistiche vincolanti, la società nuova proprietaria dell’intero complesso immobiliare ha quindi proposto il suo piano attuativo con la destinazione a residenza della massima parte delle strutture edilizie per le quali è operante il vincolo conservativo prescritto così dal piano strutturale comunale come dalla dichiarazione dell’interesse culturale promossa dal Ministero per i beni e le attività culturali. Si tratta dei due grandi opifici, quello ottocentesco e quello neorazionalista novecentesco, caratterizzati da vasti e continui vani di laboratorio (sostenuti anche da colonnine in ghisa, in quello ottocentesco) e di magazzino,  per i quali, proprio in ragione di tali tipici assetti strutturali-tipologici, la disciplina di piano prescrive il “restauro e risanamento conservativo (R2)”. Che un simile assetto strutturale e funzionale si presti ad essere convertito in frazionate unità abitative, senza perdere il connotato essenziale che ha indotto a prescrivere il vincolo conservativo, è arduo immaginare. Il piano di recupero in discussione prevede dunque la frammentazione di questi spazi, continui ad ogni piano, in ben 150 alloggi, taluni dei quali configurati a duplex, cioè disposti su due piani con collegamento interno a mezzo di un’apposita scala. Si tratta a ben vedere di una radicale ristrutturazione per parcellizzazione degli spazi unitari, in tutto incompatibile con la finalità primaria  propria del “restauro e risanamento conservativo” (art.22.2 del RUE), “diretta al ripristino dei valori originali mediante restauro e ripristino della tipologia edilizia costitutiva”. E’ il risultato dell’aver rimesso al soggetto privato che interviene la scelta della specifica destinazione prevalente (all’interno della indicazione di “polifunzionalità”), corrispondente di necessità alla convenienza economica misurata sull’ apprezzamento della domanda del mercato. Ma è la riprova che la specialissima qualità del complesso della Manifattura Tabacchi è ribelle alla conversione a condominio di miniappartamenti, conseguibile soltanto attraverso la palese violazione dei vincolanti criteri di restauro e risanamento conservativo (Italia Nostra aveva suggerito, invano, nella occasione di una variante generale al p.r.g., di verificare la fattibilità di insediare in quel complesso una facoltà universitaria e quella di ingegneria in particolare).
  3. Come è noto il vincolo di bene di particolare interesse storico-artistico è stato nel gennaio scorso formalmente rinnovato e dunque sugli edifici oggetto della dichiarazione è operante la disciplina della conservazione e del restauro secondo il Codice dei beni culturali e del paesaggio (articoli 20, 29 e 30) che anche l’Amministrazione comunale è tenuta a far rispettare nella sede dello strumento attuativo (in ordine al quale non è richiesto il parere del soprintendente per i beni architettonici, competente a valutare ed eventualmente autorizzare i singoli progetti esecutivi).
  4. Ma, a giudizio di Italia Nostra, deve considerarsi  sicuramente illegittima, e comunque in pratica irrealizzabile, pure la previsione dell’intervento per ristrutturazione urbanistica che comporterebbe la realizzazione di un vasto corpo di fabbrica con destinazione a centro commerciale ed autosilo multipiano nell’area di risulta dalla demolizione dei capannoni costruiti negli anni 1960 e considerati “incongrui”. Ebbene, secondo la disciplina di questo speciale modo di intervento (art. 21.2 RUE), “nella zona A”, quindi nel centro storico, “la ristrutturazione urbanistica deve valorizzare gli aspetti urbanistici e architettonici mediante la demolizione e costruzione, sulla base di parametri planovolumetrici specificati nelle planimetrie di piano, ricavati dalla  organizzazione morfologica e tipologica originaria, con una densità fondiaria in ogni caso non superiore a 5 mc/mq  e comunque non superiore al 50 per cento della densità fondiaria media della zona”. Nei centri storici, dunque, la ristrutturazione urbanistica è funzione del tendenziale recupero dell’assetto morfologico preesistente all’edificato attuale giudicato incongruo nell’ambiente urbano storico. Sicché non può darsi in pratica ristrutturazione urbanistica laddove gli edifici incongrui siano stati realizzati in anni recenti in spazi storicamente, come nella specie, inedificati e alla demolizione non può perciò seguire alcuna costruzione per la quale non è dato di rinvenire il parametro planovolumetrico di riferimento (che la norma vuole ricavato dall’organizzazione morfologica e tipologica originaria). E infatti la prescrizione che vuole specificati dalle planimetrie di piano i parametri per la costruzione, in ogni specifica area di risulta dalla demolizione dell’edificato incongruo, non è stata potuta osservare per il comparto della Manifattura Tabacchi e non certo per casuale omissione, ma per la ragione che non era funzionalmente dato di identificare in concreto alcun parametro nel difetto del necessario riferimento a una originaria e non incongrua edificazione. Con la conseguenza che nella specie la erronea previsione di ristrutturazione urbanistica  (anomala in ogni caso perché riguarda un singolo edificio dell’unitario comparto) è rimasta necessariamente priva del parametro cui commisurare la nuova costruzione e non può quindi trovare applicazione nello strumento attuativo.
  5. I piani regolatori che si sono susseguiti dagli anni 60 del ’900 si sono lasciati tentare dalla suggestiva ipotesi di ripristinare la continuità della via Pilotta che con le ristrutturazioni del 1821 era stata chiusa sul fronte di via Sant’Orsola nella continuità del nuovo rielaborato prospetto dell’edificio sulla stessa strada. Quell’edificio nella sua compiuta dimensione è fatto oggetto del vincolo conservativo secondo il Codice dei beni culturali, che in nessun modo può consentire la rottura della continuità del fronte, proposta nel proposito di ripristinare un assetto urbano modificato, e non certo casualmente, ormai da quasi due secoli e dunque definitivamente consolidato nella morfologia della città.
  6. In conclusione Italia Nostra invita i Consiglieri comunali a negare l’approvazione al piano di asserito recupero della Manifattura Tabacchi, per più e insuperabili ragioni illegittimo (e la legalità nell’urbanistica, già abbiamo avuto motivo di affermare, costituisce un minimo irrinunciabile); e, preso atto che la convenienza economica della proprietà privata non è funzionalmente in grado di assicurare a quel complesso immobiliare una destinazione rispettosa della disciplina di piano e conforme alle esigenze della comunità, a porre allo studio una variante di piano che restituisca al governo pubblico della città la responsabilità del destino di una parte preziosa nel tessuto dell’insediamento storico urbano. Modena, 21 luglio 2007

2. Relazione al convegno di Torino del 15 maggio 2009

“LE FABBRICHE DEL TABACCO IN ITALIA” Torino, Reggia della Venaria, 15 maggio 2009. Convegno organizzato da AIPAI (associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale) e dal Politecnico di Torino.

Giovanni Losavio, Italia Nostra “La manifattura Tabacchi di Modena in 150 pezzi”

L’impianto originario della Manifattura Tabacchi di Modena risale al 1805 quando nei locali del già Convento dei Cappuccini, adattati in forme neoclassiche dall’architetto  Francesco Vandelli, fu insediata la “Regia Fabbrica di Tabacchi”. La destinazione fu mantenuta in epoca di restaurazione come “privativa della R.D. Finanza” in appalto a ditta privata. Caso non consueto di continuità con la destinazione preunitaria, lo stabilimento fu dapprima ampliato nel 1902 e nei successivi anni trenta fu pressoché raddoppiato con l’aggiunta di un corpo progettato secondo i modelli razionalisti. Cessata l’attività nel gennaio 2002, anche lo stabilimento della Manifattura modenese subì la precipitosa liquidazione disposta con il decreto-legge natalizio del 2002 e dal “parcheggio” Fintecna fu infine trasferito a un’impresa privata. Con un piano di così detto recupero di iniziativa privata, che ha definito secondo la convenienza economica dell’impresa costruttrice le generiche (“polifunzionali”) destinazioni di piano regolatore, i due corpi dell’opificio sono stati convertiti in insediamento residenziale, così sminuzzati i vasti laboratori. Il progetto di oltre 150 miniappartamenti, che porta anche l’autorevole firma di una archistar nazionale, è stato infine licenziato con la benedizione (che non manca mai) della soprintendenza. La Manifattura Tabacchi di Modena finirà dunque in 150 pezzi.

Relazione pubblicata in occasione del convegno (pdf): 

la manifattura tabacchi di Modena in 150 pezzi