Un “polo bibliotecario” contro i principi di restauro architettonico del codice dei beni culturali e contro i vincoli urbanistici del piano strutturale comunale. Insomma fuori legge. Le chiamano, per pudore, “lame librarie”, ma sono torri – 23 metri fuori terra -, che forano la linea di cielo del centro storico, alterano il panorama urbano. Se questa è cultura.

Nella sede della privata fondazione bancaria, i rappresentanti delle pubbliche istituzioni, sindaco e funzionari del ministero per i beni culturali, si sono nei giorni scorsi accomodati a sottoscrivere, con il presidente dell’ente che li ospitava, l’ “accordo operativo” per la realizzazione del “polo bibliotecario” negli spazi del settecentesco ospedale Sant’Agostino acquistato dalla fondazione. E all’interno del suo ambizioso più ampio progetto di “un nuovo polo per la cultura”.

Con il “protocollo di intesa” del 2007, ministro (allora Rutelli) e sindaco già avevano accettato la generosa offerta per la moderna sistemazione in quel complesso delle due storiche pubbliche biblioteche, la statale Estense e la comunale Poletti, insediate da oltre un secolo nel pubblico Palazzo dei Musei (secondo  la lungimirante convenzione stato – comune del 1880, approvata con legge del parlamento). Avevano così con leggerezza abbandonato il progetto perseguito da oltre un decennio, e definito ormai nei dettagli, della espansione fisiologica di tutti gli istituti culturali, statali e civici, nella porzione retrostante dello stesso Palazzo dei Musei, finalmente liberata dalla impropria destinazione ospedaliera. In quell’intesa il ministro si era impegnato con il presidente della fondazione a non far rispettare le prescrizioni di doveroso restauro date dal suo soprintendente con l’autorizzazione alla vendita del Sant’Agostino, perché, se fossero osservate, lo riconosce con sconcertante franchezza il preambolo, le due biblioteche, lì, non ci starebbero. Mentre la firma del sindaco sulla stessa intesa sta ad assicurare che l’intervento sarà esonerato dai vincoli di piano regolatore che perentoriamente lo vietano. Nel progetto da alcuni giorni in mostra non sono infatti più riconoscibili le strutture originarie della fabbrica settecentesca. Non solo il “grande cortile” definito dalla singolare architettura a tenaglia è coperto e inglobato in un unico rigido corpo compatto, le recenti alterazioni deturpanti e agevolmente riconoscibili sono state consolidate, nuovi volumi arbitrariamente si aggiungono secondo le esigenze funzionali delle molteplici destinazioni, ma sul complesso svettano due torri librarie che con i loro ventitre metri scompaginano il paesaggio urbano storico. Le radicali ristrutturazioni delle porzioni liquidate come “non monumentali”  e destinate ai più eterogenei servizi sono vietate dal piano regolatore che anche lì prescrive restauro e risanamento conservativo. Infine, perché stiano nei più costretti spazi, saranno amputate alla base le preziose scaffalature settecentesche dell’Estense (insediata, non era mai accaduto a una storica biblioteca statale, in casa di una privata fondazione bancaria e compresa nel suo progetto di “un nuovo polo per la cultura”).

Possono le istituzioni della tutela – si chiede Italia Nostra – approvare quel che vieta l’articolo 9 della Costituzione? Come può essere avvenuto che la questione, non certo secondaria per la vita della città, non sia mai neppure affiorata in consiglio comunale? E che il consiglio comunale non l’abbia rivendicata alla propria responsabilità?

Modena, 3 maggio 2013

Italia Nostra, sezione di Modena