Sisma – si ad una ricostruzione senza rimpianti no a deturpazioni dei beni culturali, radici della comunità.

Appello per la tutela e la ricostruzione per patrimonio storico-culturale di San Felice sul Panaro.

Italia Nostra – Sezione di San Felice

Recenti esternazioni apparse sulla stampa e rimarcate da rapide apparizioni televisive da parte di personaggi noti e meno noti al pubblico, alcuni dei quali ricoprenti cariche istituzionali nel campo della tutela dei Beni Architettonici e del Paesaggio, hanno molto allarmato Italia Nostra che, dal 1955, si batte per la conservazione del paesaggio, sia esso urbano o rurale, e per la conservazione dei monumenti della nostra Nazione.

Tutti questi interventi sono stati, e continuano ad esserlo tuttora, “concessi” a senso unico, celati dalla falsa prospettiva di essere frutto di percorsi partecipativi e condivisi che, in realtà, non esistono. Del tutto irrispettosi del comune sentire e dell’opinione pubblica, che ne viene informata solo a giochi conclusi ed è convinta che vi sia stato un preventivo approfondito dibattito, sono spesso dichiarazioni “a titolo personale” che non espressione di una volontà istituzionale.

Se si deve ritenere che la ricostruzione sia un diritto in quanto riaffermazione della nostra storia identitaria e delle nostre relazioni attuali e future, questo diritto deve essere garantito anzitutto attraverso forme di trasparenza e di partecipazione dei cittadini interessati.

Infatti la portata purtroppo “epocale” dell’evento, lascia una ferita aperta che dovrà essere curata con scelte terapeutiche che necessariamente coinvolgono il malato ovvero la comunità che quel luogo vive da secoli.

La scelta potrebbe passare per una mutilazione definitiva o per una ricostruzione deturpante oppure per un intervento che, oltre che preventivo e terapeutico (messa in sicurezza e adeguamento antisismico), sia ripristinatorio e rispettoso dell’impronta “genetica” del luogo. Ma quali regole guideranno la mano del chirurgo? E il paziente, sarà stato informato? Sarà un intervento in via d’urgenza o spetterà in primis a lui la scelta su come intervenire?

La speranza è che questo terremoto non apra l’ennesimo capitolo della storia delle patrie deturpazioni del territorio e dei suoi beni culturali, magari con sprechi di denaro pubblico.

Sarebbe bastato molto meno di quanto dovrà essere speso e qualche accortezza tecnica in più per salvarci in buona parte da quest’ultima catastrofe e dai costi ingentissimi che ne conseguiranno.

Si guarda poi con perplessità alle dichiarazioni di chi sembra voler abbandonare il percorso fin qui praticato di valorizzazione dei beni culturali (magari non solo in termini di tutela ma anche di attrazione turistica, vedi le amministrazioni locali) per abbracciare iniziative “moderniste” che prevedono innesti contemporanei nel tessuto storico ( e che ben presto verranno rigettarti come corpi estranei) o vuoti urbani, avendo peraltro già sotto gli occhi esempi davvero mediocri di questo recente modo d’agire.

A fronte di un patrimonio storico architettonico di grande pregio (dalle rocche alle ville rurali e urbane, ai teatri, alle scuole, ai parchi e giardini, ecc.) che forma un unico contesto diffuso è allora certamente condivisibile l’affermazione, che citiamo testualmente, rilasciata in occasione di un recente intervento ai mezzi d’informazione televisivi da chi è preposto alla tutela: “[…] pensare che per questioni economiche si possano eliminare delle parti della storia delle comunità e della storia culturale è un’opera di profonda inciviltà”. Salvo poi leggere qualche giorno appresso sui giornali locali che  quella stessa Autorità ritiene che “Com’era dov’era è uno slogan consolativo: bisogna capire che niente potrà ridarci il bene com’era prima (…) però ad esempio la torre dell’orologio di Finale, o il duomo di Mirandola, possono essere ricostruiti. La chiesa parrocchiale di San Felice, invece, no, e potrebbe essere trasformata in piazza o centro culturale. Non tutte le chiese possono essere ricostruite com’erano prima: per alcune si possono pensare degli innesti moderni, per altre addirittura la valorizzazione delle rovine(…) La chiesa di parrocchiale di San Felice forse è il caso più difficile: restano in piedi solo le quattro pareti” (vv. dichiarazione attribuita alla Direttrice Regionale per i beni culturali e architettonici dott.ssa Carla Di Francesco, Gazzetta di Modena- 08/11/2012, pag.2).

E’ quindi del tutto giustificato il timore che la ricostruzione venga decisa in un clima di assoluta opacità quando non contraddittorietà.

Assistiamo ad un accanimento contro la paventata ipotesi di un restauro conformato al principio del “dov’era com’era” della parrocchiale di San Felice sul Panaro, luogo profondamente identitario per la comunità, perchè giudicato un intervento irrealizzabile quando non anacronistico rispetto alle nuove filosofie d’intervento post-terremoto. Per poi constatare, tra le priorità pubbliche, che si procederà alla ricostruzione della cinquecentesca torre civica, di cui non rimane un solo mattone in opera (iniziativa, peraltro, pienamente condivisibile).

La contraddizione è quindi di tutta evidenza e, a questo punto, ci si sente in balia di decisioni non sostenute da ragioni critiche ma fondate su valutazioni personali scevre da impostazioni scientifiche nonché programmatiche come un piano di ricostruzione prevederebbe.

Aggiungasi che la pratica pericolosissima degli accostamenti tra antico e moderno presuppone interventi di indubbia qualità architettonica, edilizia e urbanistica che non possono essere affidati alla sensibilità del singolo progettista, magari di “fama locale”, e tanto meno divenire occasione di “laboratori sperimentali” ammantati dell’autorevolezza di enti universitari.

Il richiamo è allora a quanto si è fatto, di buono e meno buono, nel recente passato, soprattutto in occasione della ricostruzione post-bellica della Seconda Guerra Mondiale. E il riferimento non può che andare a Piero Gazzola e al suo intervento a Verona, ispirato a un “dov’era, com’era” che non si è certo tradotto in una sterile “anastilosi” ma in una valorizzazione critica del preesistente con interventi talora di ampio respiro architettonico e urbanistico sempre finalizzati al recupero complessivo del bene culturale unitariamente inteso qual’è la stessa città di Verona.

Ciò che si auspica, allora, è anzitutto che vi siano interventi straordinari per la qualità e non solo per i costi; grande attenzione nell’inserimento del nuovo contemporaneo tra le nostre memorie storiche e identitarie; conservazione o recupero di tutto quanto è bene culturale, allontanando lo spettro della decimazione o della condanna a morte senza appello.

Il tutto in virtù di un’azione programmata da parte degli Enti preposti, prima fra tutte la Direzione Regionale, ma anche partecipata (e dovranno essere gli Enti Locali ad adottare forme di comunicazione e soprattutto di condivisione con i propri cittadini di scelte volte a restituire alla comunità il volto della propria identità).

Ci appelliamo quindi all’Amministrazione Comunale perché intervenga con forza nel sostegno di quanto da noi portato avanti come battaglia civile contro ignoranza e facili soluzioni che non porteranno nulla, se non irrimediabili rimpianti.

Chiediamo che essa vigili sulle recenti prospettive normative che la Regione intende attuare affinchè sia scongiurato il pericolo di veder scomparire per sempre i nostri preziosissimi beni (soltanto perché danneggiati o reputati da qualcuno irrecuperabili).

Ci attiviamo per chiedere con forza un progetto condiviso con gli organi preposti della Chiesa Cattolica per salvare la parrocchiale di San Felice semidistrutta dal sisma, scongiurando il suo abbattimento e ricordando che se è vero che è in costruzione una struttura provvisoria in legno, capace di 250 posti che servirà la comunità per non meno di 90 anni (tramite una convenzione pubblica); se è vero che l’ordinanza n. 37 del commissario delegato alla ricostruzione ha destinato, tra l’altro, un importo consistente (120.000 euro?) alla messa in sicurezza di ciò che rimane della storica fabbrica ecclesiale in centro paese; se è vero che le nostre chiese, le nostre torri medioevali, la rocca, la canonica, la torre dell’orologio, il teatro, le ville liberty, le case popolari, … non sono state costruite in 2 anni, ma sono frutto di lungimiranze in taluni casi secolari. Se tutto questo è vero, allora fermiamoci un attimo, e utilizziamo le prime risorse economiche già stanziate per porre rimedio ai danni che l’inverno aggraverà e, con tutta la serenità e l’intelligenza di cui siamo stati capaci in passato, pensiamo a come salvare il nostro inestimabile patrimonio.

Sembrerà superfluo citare l’articolo 9 della nostra Costituzione, uno dei 12 principi fondamentali che regolano la nostra esistenza, ma forse, in questo tempo, non lo è: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

Non sono necessari ulteriori commenti o suppliche.

Italia Nostra, sezione di San Felice sul Panaro

 

 

Bologna, 13/11/12