Novi Park. Un parco archeologico pensile, con i suoi padiglioni per “centro visita” e “area ristoro”. Ricomposti sul tetto della pubblica autorimessa i reperti di scavo portati su dal profondo dei vari strati e sistemati tra rampe e sfiatatoi del parcheggio. Se questa è l’archeologia preventiva.

La ricca pubblicazione (presumibilmente pagata da “Modena Parcheggi”),
che illustra con suggestivi scatti fotografici l’area nel fervore degli
scavi e descrive il progetto di parco archeologico che si vuole
sistemato sulla copertura del “secondo parcheggio sotterraneo più grande
d’Italia”, sembra fatta apposta per dimostrare — contro l’intenzione –
che per “l’area interessata dai rinvenimenti” si impone
“l’assoggettamento a tutela”. Perché ricorre il caso previsto dall’art.
96, comma 2, lettera c), del “Codice dei contratti pubblici”(“complessi
la cui conservazione non può essere altrimenti assicurata che in forma
contestualizzata mediante l’integrale mantenimento in sito”). Leggiamo
infatti: “Dagli strati di età romana è emerso, perfettamente conservato,
il tracciato di una strada in grossi ciottoli di pietra, in uso per
almeno quattro secoli”,”come testimonia tra l’altro anche la profondità
dei solchi lasciati dalle ruote dei carri” (“… compostada una
massicciata basolata con grossi ciottoli fluviali impiantati su uno
spesso strato di ghiaia. Larga 4,5 metri e contenuta entro una doppia
fila di ciottoli disposti in verticale, è fiancheggiata da
marciapiedilarghi circa 5 metri e da fossi di scolo ampi almeno tre
metri”) e questo assetto era conservato nello sviluppo lineare di 110
metri, fiancheggiato da “una vasta necropoli”. Ebbene, crediamo che la
disposta “verifica preventiva dell’interesse archeologico”dovesse
concludersi non già con la integrale demolizione di questo straordinario
assetto, ma con il riconoscimento dell’interesse archeologico dell’area
interessata da un simile rinvenimento, perciò assoggettata a tutela.
Incompatibile certo il dirompente parcheggio.
L’archeologia preventiva ha dunque qui operato come se si trattasse di
un sito inquinato da risanare, ha rimosso ogni traccia dei documenti
lasciati da oltre due millenni di storia dell’insediamento urbano,
perché nel bonificato vuoto possa essere costruita quella inquietante
infrastruttura che è (non riesce e non essere) il rifugio sotterraneo
delle automobili.E la distruzione delle fondazioni millenarie della
città non può dirsi risarcita dall’artificio del parco archeologico
costruito sulla copertura dell’autorimessa, con l’elevazione in
superficie dei rinvenimenti nei vari strati di scavo, tutti portati a
quel medesimo livello, con il corredo di ingombranti padiglioni di
servizio come centro visita e area di ristoro. Una grossolana
falsificazione.
Ancora una volta l’archeologia si è fatta sollecito strumento di una
incisiva alterazione dell’ambiente urbano storico, irreparabilmente
deprivato delle sue millenarie fondazioni. E ci mancherebbe solo l’asta
delle anfore, “buona idea” per l’Assessore.
Modena, 31 dicembre 2010.
Italia Nostra, sezione di Modena