Piazza Roma: le piazze di Modena non tollerano questa “riqualificazione”

LE PIAZZE DI MODENA NON TOLLERANO QUESTA “RIQUALIFICAZIONE”

1. Benché l’Amministrazione comunale e lo stesso Progettista abbiano avvertito l’esigenza di sottoporre all’esame (e infine all’approvazione) della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio le prime proposte di così detta riqualificazione delle piazze Roma, Mazzini e Matteotti di Modena (ai fini si deve intendere della formale autorizzazione a norma dell’articolo 21, comma 4, del “Codice”), non sembra dubbio che, così nella intenzione della committente come nella attitudine del progettista, sia del tutto assente la consapevolezza che le tre piazze, elementi essenziali nella morfologia della città storica, sono “beni culturali” in sé, secondo la espressa previsione dell’art. 10, comma 4, lettera g), dello stesso “Codice”, quindi costituiscono l’oggetto di quelle misure conservative alle quali gli enti pubblici territoriali sono tenuti (art. 30), come in particolare previste e prescritte dai commi 3 (manutenzione) e 4 (restauro) del precedente art. 29.

E infatti le due analoghe determinazioni di incarico, richiamando il documento di indirizzo approvato dal Consiglio comunale (“Le cinque piazze, progetto urbano e strategie di riqualificazione”), nella analitica indicazione della normativa di riferimento, alla quale il professionista si dovrà attenere, neppure indirettamente comprendono la disciplina del Codice dei beni culturali (art. 21) che vincola “l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali”.

2.  Ebbene, le tre piazze si caratterizzano per ben definite e distinte identità, come espressione della complessa vicenda urbana, avendo assunto quelle specifiche forme e funzioni in epoche diverse. La piazza Roma, lo spazio esterno e di rispetto del seicentesco Palazzo ducale, ha raggiunto l’attuale assetto in epoca di Restaurazione con la costruzione degli edifici porticati che la delimitano a sud sul filo dei più modesti preesistenti (confermato l’invaso come definito dagli interventi tardosettecenteschi di Ercole III), su disegno di Francesco Vandelli, in forme  neoclassiche, per insediarvi funzioni pubbliche connesse al governo ducale. La piazza Mazzini, espressione di uno dei programmati diradamenti nel fitto tessuto edilizio del nucleo più antico della città attuati a cavaliere del Novecento, disegnata per richiamo al modello europeo della piazza-giardino. Infine la Piazza Matteotti, realizzata nel vuoto dell’ultimo diradamento, con l’atterramento di due isolati, tra anni trenta e fine anni quaranta del Novecento, secondo un progetto tardorazionalista (unica fatta oggetto di un formale provvedimento di tutela).

Tre distinte identità, dunque, che debbono essere riconosciute e recuperate  attraverso interventi di conservazione e restauro, gli unici ammissibili secondo la moderna cultura della tutela che è divenuta norma cogente con il Codice dei beni culturali.

Al contrario, i progettati interventi di “riqualificazione”, che riflettono tutti il medesimo riconoscibile timbro del prestigioso architetto, raggiungono il risultato di cancellare quelle identità, assimilate attraverso i comuni stilemi. Nessuna “programmata attività di studio”(art. 29 del “Codice”) ha preparato e indirizzato le idee progettuali, riprese invece dal personale sperimentato repertorio dell’Architetto, come in particolare quella suggerita per Piazza Roma che rimanda, con il prato e l’invaso d’acqua, alla soluzione ideata per gli spazi circostanti alla Pilotta di Parma (ma il Piazzale della Pace pone problemi del tutto diversi e incomparabili, come l’irrisolto guasto da demolizioni belliche).

3. Certamente il parcheggio di superficie cui è attualmente destinata la Piazza Roma integra un uso non compatibile con  il carattere storico e artistico del luogo sul quale prospetta il Palazzo Ducale e che del Palazzo costituisce il complementare spazio esterno, la proiezione in piano. Un vuoto dunque in funzione esclusiva della vasta facciata monumentale, dalla quale anzi la piazza può dirsi generata. Un invaso unitario a superficie continua privo di ogni elemento di arredo che valga a distogliere l’attenzione dalla solenne fabbrica. L’unico inserto in quello spazio, ma in posizione eccentrica, il Monumento al Menotti (colto in attitudine di sfida verso il tirannico potere ducale) eretto in epoca immediatamente postunitaria. L’asfalto che ha ricoperto l’acciottolato fu introdotto nel secondo dopoguerra a servizio del parcheggio automobilistico e deve per certo essere rimosso per  il ripristino della originaria pavimentazione, non essendovi tradizione a Modena di impiego di diversi materiali stradali.

Il progetto proposto da Botta fraziona l’unità di quello spazio in tre distinte sezioni, enfatizza  con un elaborato disegno a losanghe il corridoio centrale di accesso al Palazzo (che chiama curiosamente “viale”); a destra immagina una superficie a prato anche per corrispondere alla balzana intenzione della committenza che vagheggia esibizioni equestri degli allievi della Accademia Militare; a sinistra vuole un vasto invaso d’acqua, mentre sull’uno  e sull’altro lato breve alza una cortina muraria che segna i nuovi limiti  della piazza.

Insomma la radicale negazione di uno spazio unitario che la storia della città ci ha consegnato come indifferenziato piano di calpestio, per essere liberamente percorso in ogni senso dai cittadini di oggi: il risultato del rifiuto del metodo del restauro urbano, che vincola al recupero della identità della piazza del Palazzo Ducale, mortificata dall’uso del parcheggio.

Il problema posto dal fortuito ritrovamento archeologico (un  lacerto delle mura della città romana) è risolto con la consueta ma discutibile messa in esibizione attraverso una struttura in elevazione che si vuole trasparente (una piramidina –zircone, che si appoggia sul prato, come il contiguo monumento al Menotti). Soluzione che, mentre interrompe la continuità della piazza storica, soddisfa una superficiale curiosità, quando soltanto lo studioso specialista è attrezzato per comprendere il significato di una struttura muraria che ad ogni osservatore di media cultura appare come un rudere indifferenziato. E allora, studiato e documentato il reperto (anche attraverso la riproposizione virtuale in ambiente museale con l’impiego di moderne tecniche mediatiche), converrà ricoprirlo, chiudere lo scavo, riconosciuta prevalente la esigenza di rispettare la integrità fisica della piazza in un ambiente urbano storicamente caratterizzato, come ci è consegnato dalla vicenda dei due successivi millenni.

Neppure vogliamo discutere l’idea avventurosa di andare a pescare nel sottosuolo del giardino interno al Palazzo Ducale, davanti al prospetto ottocentesco del Soli, per ricavare (in casa dell’Accademia Militare) un parcheggio ipogeo che si vuole collegare attraverso un sinistro cunicolo pedonale (che sottopassa la cortina degli edifici lungo il Corso Accademia) alla piazza Roma. Siamo certi di poter fare affidamento sulla saggezza dell’autorità militare.

4.  La borghesia che amministrò la città in epoca post-unitaria fu vittima del generale “pregiudizio” igienico (così oggi ci appare) che caratterizzò il rinnovamento urbano di quei decenni con interventi di diradamento edilizio anche finalizzati alla creazione di moderni servizi di cui pur la città avvertiva il bisogno. Il mercato coperto con strutture in ghisa – degli alimentari in Via Albinelli (con affaccio in Via Mondatora) e quello di mercerie e tessuti in Piazza XX Settembre – privo di strutture fisse – nascono da una stessa intenzione e da un progetto unitario, collegati anche fisicamente dalla breve galleria. Pressoché coeva è la realizzazione della piazza della Libertà (poi Piazza Mazzini) nata dalla demolizione di un isolato del ghetto, progettata fin dagli anni ottanta dell’Ottocento anche se realizzata soltanto nei primi anni del Novecento. Il toponimo, la dedicazione (Piazza della Libertà), hanno un immediato riferimento alla nuova condizione che la città riconosceva alla comunità israelitica e la stessa progettazione ed erezione del tempio (architetto Maglietta), pur precedente di oltre un ventennio, pone il limite a nord – il fondale – della piazza fin da allora concepita. Fu progettata come piazza-giardino con la vasta aiuola centrale protetta anche da una cancellata: la forma dell’invaso fu rettificata e regolarizzata con parziali demolizioni degli edifici laterali (soppresso il lungo portico dell’isolato di occidente) e i prospetti dei fabbricati di contorno furono infine uniformati secondo modi e decori di gusto liberty. Un esemplare intervento per misurata eleganza secondo la migliore cultura urbana del tempo sulla linea di un’attitudine e di un gusto riconoscibili anche nelle più illustri capitali europee e certamente a Modena l’unico esempio di omogeneità anche architettonica di un ambiente urbano.

Il disagio di piazza Mazzini risale alla costruzione dell’“albergo diurno” che ha comportato l’arretramento del giardino e del verde e si è aggravato con gli interventi più recenti in attuazione delle prime misure di pedonalizzazione, quando fu soppressa la originaria piattaforma centrale, furono alterati i livelli di calpestio e ridisegnate le forme dei percorsi anche per i veicoli (ammessi intorno al tempio israelitico); fu sconvolto il disegno del giardino con l’impiego di arredi stonati e di materiali incoerenti e con l’introduzione di specie arboree improprie, e così si è ottenuto un effetto complessivo non solo di perdita dell’identità e della precisa caratterizzazione stilistica della Piazza, ma anche di disordine nei percorsi pedonali di attraversamento. Sicché il tema di restauro urbano posto da Piazza Mazzini si fissa entro i limiti del recupero di carattere e funzione che i recenti interventi hanno alterato. Fermo l’essenziale connotato di uno spazio che si apre sul percorso del principale asse della città storica in rapporto di continuità visiva, nessuno schermo può concepirsi sulla linea di affaccio, se così si può dire, alla Via Emilia.

Al contrario, la mal posta consegna di riqualificazione ha suggerito al progettista di porre su quella soglia un elaborato manufatto ad esedra (conforme agli apprezzati stilemi dell’architetto-artista e destinato a ricevere i getti di una  fontana) che  chiude piazza Mazzini  e rompe l’unità di uno spazio continuo che si estende fin oltre la via Emilia a comprendere il minore invaso della fronteggiante Piazzetta delle Ova. Soluzione certo fedele alla committenza di riqualificazione (dunque di libera rielaborazione degli spazi pubblici), ma certamente in contrasto con gli altrimenti vincolanti principi del restauro urbano che guidano ogni intervento sulle piazze storiche riconosciute beni culturali.

5.  La più “moderna” piazza dell’insediamento storico di Modena (Piazza Matteotti) è, paradossalmente, l’unica fatta oggetto di un esplicito formale provvedimento di tutela. Se ne avvertì la necessità quando l’Amministrazione comunale, contro il proprio piano regolatore e contro la prescrizione della legge regionale che nei centri storici fa divieto di edificare gli spazi pubblici liberi da costruzioni e destinati ad usi collettivi (come per certo le piazze), progettò di erigere nella piazza tre palazzine in finto stile rinascimentale (perché, si disse, rinascimentale era il palazzo, posto sull’angolo prossimo alla Chiesa del Voto, atterrato con l’intero isolato di cui faceva parte). Proposito stravagante che le istituzioni statali della tutela doverosamente contrastarono con il formale riconoscimento dell’interesse culturale di quello spazio pubblico, come elemento essenziale della morfologia urbana, espressione ed episodio conclusivo del complessivo processo di rinnovamento avviato in epoca postunitaria: un intenzionale intervento di risanamento per diradamento edilizio, il risultato di  una complessa  progettazione, sviluppata tra anni trenta e fine anni quaranta del secolo scorso, fino alla sistemazione definitiva, secondo i disegni dell’architetto romano Mario Loreti (l’autore di un vasto intervento razionalista nel centro storico di Varese e della colonia marina  di Milano Marittima, negli stessi anni trenta), cui si deve anche il fabbricato (1951) che delimita l’invaso sul lato ovest della piazza. Un intervento dunque che riflette una riconoscibile attitudine di cultura urbana. Fu negli anni cinquanta e sessanta del Novecento luogo di intensa vita comunitaria, con qualificati insediamenti commerciali e di servizio lungo i portici dei due fabbricati ad L (basti ricordare la libreria Rinascita con la sua forza attrattiva), mentre il vasto invaso della piazza  (la più ampia della città) fu deputato ad ogni manifestazione politica a grande concorso di cittadini, la vera agorà modenese. Lo spopolamento progressivo, la crisi del commercio, anche di servizio ai residenti, attratto dalle grandi centrali della distribuzione insediate nella non prossima periferia hanno prodotto l’effetto di sofferenza di questo luogo urbano che ha progressivamente perduto la sua funzione, non efficacemente sostituita dalla conversione a verde.

E’ illusorio dunque rimettere la riqualificazione di questo problematico spazio della città agli esercizi di stile dell’architetto inventore che del tutto prescindono dalla più recente vicenda urbana della piazza e spezzano l’unità dell’ampio invaso, disegnando due distinte zone su piani sfalsati  (mantenute l’una, quella interna, a verde e, quella prossima alla Via Emilia, “a minerale”) separate dalla traversa di un rilievo murario con condotto-vasca per suggestivi giochi d’acqua, essendo le due zone collegate da passerelle a scavalco. Ne risulta limitato l’uso proprio della piazza, come ampio spazio continuo, mentre neppure si rinuncia a celare nel sottosuolo un parcheggio per i residenti (vera e propria privatizzazione di un bene pubblico a favore di pochi privilegiati) con accesso-recesso pedonale dall’edificio a pensilina progettato in prossimità della seicentesca Chiesa del Voto per interrompere la continuità visiva con la settecentesca Chiesa di San Giovanni (posta al limite opposto della piazza) che esplicitamente il provvedimento di tutela intende invece preservare.

6. Italia Nostra rimette le presenti osservazioni alla attenzione delle istituzioni della “tutela”, chiamate ad assicurare che ogni intervento diretto ad incidere sull’assetto delle piazze dell’insediamento storico di Modena (riconosciute beni culturali in sé come elementi essenziali della morfologia urbana) ne rispetti le specifiche identità e sia conforme ai vincolanti principi di prevenzione, manutenzione, restauro dettati dall’art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio in funzione della conservazione del patrimonio culturale.

Modena, 25 gennaio 2009.

Il Direttivo della Sezione modenese di Italia Nostra.