Il 6 settembre, nella sala consiliare del Municipio, a porte rigorosamente chiuse, Italia Nostra ascoltata in separata e riservata udienza dalla Conferenza di servizi avviata da inizio luglio per l’esame del progetto edilizio dell’ex Ospedale Sant’Agostino.

(Qui sotto ricostruito a memoria quel che ha detto il presidente della sezione modenese di Italia Nostra)

 L’audizione di per sé non esaurisce la garanzia di una effettiva e utile partecipazione. Quel che pensa Italia Nostra sul progetto che si vuol approvare con l’accordo di programma è ben noto a tutti i soggetti istituzionali (interessano quelli che hanno legittimazione a decidere, Comune, Provincia, Soprintendenza) ai quali è stata comunicata alla vigilia della prima riunione della conferenza di servizi una diffusa analitica memoria. Non sappiamo come sia stata ricevuta, come innanzitutto la conferenza intenda superare la pregiudiziale questione di legittimità che abbiamo motivatamente sollevato (inammissibilità, per gli edifici monumentali, della deroga alla disciplina di restauro e risanamento conservativo, quindi preclusione della variante sul punto al piano strutturale comunale – PSC- che quella disciplina prescrive).

Sappiamo come la pensa il Comune che ha fatto proprio il progetto presentato dalla Fondazione Cassa e lo vuol far  approvare, appunto, attraverso questo accordo in variante al PSC. Non sappiamo invece quale sia, non diciamo la determinazione, ma almeno l’indirizzo di massima della Provincia che è convocata per la sua necessaria valutazione sulla variante, e della Soprintendenza cui è rimessa l’autorizzazione alla trasformazione del complesso monumentale (che dichiaratamente non è di restauro, di radicale ristrutturazione invece, e perciò ci vuole la variante al PSC). Intuiamo l’imbarazzo del Soprintendente chiamato ad approvare un progetto che urbanisticamente può passare se si cancella la prescrizione di restauro che proprio lui è chiamato per parte sua a far rispettare.

Non lo sappiamo perché non ci è stato concesso di assistere alle riunioni della conferenza, né ci è stato dato l’accesso ai relativi verbali. Insomma, almeno per quanto riguarda Italia Nostra, questa audizione è del tutto inutile, se non è la sede di un aperto confronto, dell’avvio di un contraddittorio che ci assicuri che il contributo della associazione è stato considerato nel merito, ne son state valutate le puntuali valutazioni, non condivise (o perfino, in ipotesi, non può escludersi, condivise) per espresse conoscibili  ragioni. Perché questa audizione non si risolva in un vuoto rito crediamo perciò che si sarebbe dovuta aprire sulla esauriente informazione dello stato dei lavori della conferenza. Ci si dice invece che la conferenza ha deciso di mantenere una stretta riserva su quel che va facendo e ne conosceremo i risultati soltanto a conclusione della prima formalizzata fase del procedimento. Ne dobbiamo prendere atto. La conferenza si è data la consegna della segretezza. Che non credo garantisca la qualità dei risultati, specie quando è in questione il progetto culturale di più alto impegno, si è detto, da alcuni decenni in qua. Ci è dunque negato il contraddittorio e non è sensazione gradevole parlare a chi ascolta muto. Questo incontro convocato perché Italia Nostra ripeta a voce quel che ha scritto, e perciò è conosciuto, si riduce in effetti al freddo passaggio del formale procedimento, dovuto alla sempre invocata istanza partecipativa, non potuto insomma evitare.

Solo poche parole sul merito del progetto che già conoscevamo perché fatto oggetto dell’anomalo accordo del maggio di quest’anno (impropriamente riferito al modello formale dell’art.11 legge sul procedimento amministrativo) tra Fondazione Cassa, Comune e Ministero beni culturali. Il progetto che sostituisce, quanto a destinazioni, quello elaborato nei dieci anni precedenti e confermato ancora nell’accordo tra le stesse parti del febbraio 2016. Non un addendum come si definisce, ma una radicale innovazione. Non più polo librario, ma polo dell’immagine. Biblioteche Estense (statale) e Poletti (civica) stanno dove sono oggi insediate, nel Palazzo dei Musei. Nel Sant’Agostino trasferite invece la Galleria Civica e il Museo della Figurina che oggi nel Palazzo Santa Margherita contendono lo spazio alla Delfini. Che finalmente potrà raggiungere dimensione e ruolo di vera e propria biblioteca di città. La porzione retrostante al Palazzo dei Musei, liberata dalla impropria destinazione ospedaliera, è lì pronta, con un restauro finanziato dal Ministero, alla espansione fisiologica di tutti i contigui istituti culturali, statali e civici. Un progetto che finalmente riunifica in un’unica funzione, quella culturale, il settecentesco Grande Albergo delle Arti, scomposto (il ricovero per anziani nel corpo posteriore) nei primi decenni postunitari. Sembra di leggere il primo documento, gennaio 2007*, nel quale Italia Nostra espresse la propria valutazione sul rinnovamento degli istituti culturali della città e sul come impiegare la disponibilità del Sant’Agostino (l’associazione su questi contenuti del nuovo progetto gradirebbe il riconoscimento di copyright). Perduti dieci anni per inseguire le ambizioni sbagliate della Fondazione Cassa e registrare infine che Galleria e Biblioteca estensi sono inscindibili, così radicate nel Palazzo dei Musei, come ha riconosciuto il Ministro che con la sua riforma ha costituito la Galleria in autonomo istituto culturale e ha affidato la Biblioteca alla unitaria direzione dell’istituto. Non si vuol però abbandonare del tutto la posizione e, abbiamo detto è un puntiglio, alla sola Biblioteca Estense è negato l’ampliamento negli spazi contigui, perché, non importa che cosa, ma qualcosa della storica biblioteca deve pur andare di là, nel Sant’Agostino, la “biblioteca moderna” (dice l’addendum, ma una simile identificabile sezione non esiste) o autonomi fondi documentari di ricerca, ora si dice, anche se difficilmente armonizzabili con i contenuti del polo della immagine.

E’ confermato invece l’approccio di radicale ristrutturazione del progetto edilizio (si vuol demolire e liberamente ricostruire quasi un quarto dell’edificato) e per farlo passare è necessario rimuovere la disciplina conservativa (restauro e risanamento) che oggi è dettata nel PSC, come abbiamo detto, in ragione della natura monumentale dell’intero storico complesso ospedaliero. Crediamo di aver dimostrato che a una simile variante si oppongano così la legge statale (che prescrive restauro per i beni culturali) come quella regionale (che doverosamente vi si adegua) e attendiamo impazienti di essere contraddetti. E di capire come potrà mai essere sciolta la insuperabile contraddizione sulla quale si è aperta questa conferenza di servizi: convocata per conseguire simultaneamente la variante urbanistica che libera il complesso del Sant’Agostino dalla vigente prescrizione di restauro (perché il progetto esplicitamente propone una radicale ristrutturazione) e l’autorizzazione del Soprintendente che verifichi il rispetto delle regole del restauro.

 

*Per la eventuale curiosità del lettore andiamo a pescare nella memoria il testo di quel documento che riproduciamo qui sotto.

DA PALAZZO DEI MUSEI A GRANDE ALBERGO DELLE ARTI

Il settecentesco  edificio estense integralmente  destinato agli istituti culturali statali e civici

  1. Sono note le vicende storiche che hanno condotto all’accorpamento entro il settecentesco Grande albergo delle arti (la più ampia fabbrica estense -dopo il palazzo ducale- e la più complessa e impegnativa impresa edilizia del settecento estense) degli istituti statali (la biblioteca e la galleria – con le raccolte “minori”- estensi) e di quelli civici (i musei civici, l’archivio storico comunale, la biblioteca Poletti, il museo del risorgimento) secondo un singolare regime proprietario e di uso.

Il Comune di Modena infatti, con la convenzione del 1889 (approvata per legge dell’anno successivo), concesse in comodato perpetuo allo Stato gli spazi necessari ad accogliere le raccolte palatine entro il vasto edificio appositamente acquistato dallo stesso Comune per quell’impiego, avendo dallo Stato ottenuto l’impegno a mantenere “a perpetuità” in quella sede i propri istituti, come segno obbiettivo di una sostanziale appartenenza civica.

Ne nacque il Palazzo dei musei (denominazione per così dire forte se ha resistito fino a consolidarsi nella attuale toponomastica), dove si riflette la comune convinzione –di Stato e Comune- di un duplice nesso unitario: l’uno, primario, tra tutte le raccolte estensi (cui si intende garantire nel settecentesco edificio estense la continuità storica); l’altro, subordinato ma saldo, tra quelle e le raccolte civiche di recente formazione eppure già fortemente caratterizzate. (E a  proposito del nesso che abbiamo detto primario converrà ricordare che le raccolte “minori” estensi  – di monete, medaglie, bronzetti, gemme e di “altri oggetti diversi di curiosità e erudizione”- erano nella collocazione originaria del palazzo ducale in rapporto di contiguità con la biblioteca, come una sua pertinenza, così che il bibliotecario Celestino Cavedoni poté tenere la direzione del “museo delle medaglie” che tutte quelle minori raccolte comprendeva).

  1. Le esigenze di spazi degli istituti governativi e civici poterono allora essere compiutamente soddisfatte entro la porzione del vasto edificio che si affaccia sul largo Sant’Agostino, sicché a quella retrostante (di dimensioni pressoché equivalenti) fu data una destinazione assistenziale come sede del ricovero per anziani e, dalla metà degli anni settanta del novecento, di una sezione ospedaliera, l’Ospedale estense. Ma già dagli anni sessanta del novecento si era avvertita la necessità di nuovi spazi, specie per soddisfare le esigenze di fisiologica espansione della biblioteca estense e dei musei civici e mai fu messo in dubbio che nella porzione retrostante del vasto edificio dovesse essere reperita la nuova disponibilità, essendo l’insediamento dell’Ospedale estense ufficialmente motivato da condizioni di emergenza e perciò riconosciuto come improprio e contingente.

Infatti, nella aspettativa del trasferimento dell’ospedale in una sede definitiva e funzionalmente adeguata (finalmente di recente attuata con la realizzazione della nuova struttura ospedaliera di Baggiovara), l’Amministrazione comunale si è data il compito fin dai primi anni ottanta del novecento di studiare la progettazione della espansione di tutti gli istituti statali e civici in quegli stessi contigui spazi e nel 2001 la giunta municipale approvò una ipotesi di fattibilità, misurata sulle verificate esigenze di ciascuno di essi, che realizza l’ambizioso ma necessitato obbiettivo di ripristinare l’unità funzionale del Grande  albergo delle arti integralmente recuperato a quella destinazione.

Progetto, questo, di elevato impegno anche finanziario che le sole risorse economiche locali non sarebbero state in grado di affrontare e che per altro direttamente chiamava in causa la responsabilità del Ministero, per una soluzione necessariamente condivisa. Il Ministero dimostrò allora interesse, essendo il suo concorso finanziario -anche rilevante- ben giustificato dalla speciale condizione, unica nel panorama nazionale delle raccolte statali, di istituti statali insediati in edifici di proprietà aliena e sul fondamento di un comodato, quindi a titolo gratuito. Sul finire del ministero Melandri fu pure considerata l’ipotesi di un parziale acquisto, da parte dello Stato, della porzione dell’edificio che sarebbe stata liberata con il trasferimento dell’ospedale, ma i rapporti in questa prospettiva si interruppero con il nuovo ministero Urbani. E la rinnovata Amministrazione comunale ha oggi abbandonato il disegno perseguito dalle precedenti, neppure ha inteso saggiare la disponibilità del Ministero passato a diversa responsabilità politica e, nella consapevolezza obbiettivamente fondata di non essere in grado di realizzare l’originario progetto con le proprie esclusive risorse, ha deciso di insediare nella parte dell’edificio risultante dal trasferimento dell’ospedale i propri uffici amministrativi posti in edifici di onerosa locazione.

  1. La realizzazione della nuova struttura ospedaliera di Baggiovara ha comportato il contestuale trasferimento dell’Ospedale Sant’Agostino che così ha liberato il settecentesco edificio eretto da Francesco III come “moderno” ospedale nel quadro della riforma dell’assistenza da lui concepita. Si tratta di un edificio che gli adattamenti funzionali introdotti in oltre due secoli di esercizio del servizio ospedaliero non hanno alterato nella sua struttura originaria caratterizzata da un impianto originalissimo ancora integralmente recuperabile; e che fronteggia il Palazzo dei Musei, chiudendo il lato nord del Largo Sant’Agostino. Ebbene, questo edificio è stato acquistato dalla Fondazione Cassa di risparmio di Modena che lo ha messo generosamente a disposizione delle istituzioni culturali della città, esprimendo la ferma preferenza per la Biblioteca estense; e a tale prospettiva l’Amministrazione comunale si è immediatamente adeguata. Con il trasferimento, infatti, della Biblioteca dal Palazzo dei musei si libererebbero gli spazi sufficienti a soddisfare le esigenze di espansione degli altri istituti, innanzitutto dei Musei civici e della Galleria estense, soluzione dunque compatibile con la realizzazione del proposito di insediare gli uffici comunali nel corpo dell’edificio che fu dell’Ospedale estense.

Italia Nostra ha motivato la propria contrarietà a questa soluzione con le ragioni della tutela del settecentesco estense Grande albergo delle arti, per il quale oggi si presenta la straordinaria irripetibile occasione di recuperare la unità funzionale attraverso  la destinazione integrale a sede -finalmente del tutto adeguata- degli istituti culturali, le raccolte palatine e i musei civici, da oltre un secolo radicate nella porzione costituita come Palazzo dei Musei secondo quel lungimirante progetto di politica culturale di cui si è detto all’inizio di questa nota. La porzione dell’edificio che fu l’Ospedale estense ha le dimensioni di superficie utilizzabile pressoché corrispondenti a quelle dell’attuale Palazzo dei musei (metri quadrati diecimila più diecimila) e quindi tali da rispondere pienamente alle necessità di espansione innanzitutto della Biblioteca estense anche nella prospettiva del suo accrescimento nei prossimi decenni. L’ampliamento verso gli spazi contigui non è, a differenza del trasferimento in altro edificio, operazione traumatica e non interferisce quindi con prolungate interruzioni del servizio sulla continuità e sulla sostanziale regolarità di esercizio. Ripetiamo: la destinazione ad uffici amministrativi dei settecenteschi spazi, caratterizzati da vasti ed alti vani con strutture a volte, della porzione dell’edificio che fu l’Ospedale estense, nega la unità funzionale dell’organismo architettonico che fu il Grande albergo delle arti (oggi dopo due secoli ripristinabile) e costituisce per certo uso non compatibile con il carattere storico e artistico dell’edificio e anzi ne comporta inevitabilmente alterazioni anche strutturali per i necessari adeguamenti a quell’impiego improprio (come già la destinazione ad ospedale che costò la distruzione del monumentale sistema a capriate di sostegno della copertura).

  1. Di fronte alla ostinata determinazione della Amministrazione comunale che ha dunque rinunciato a riattivare quella intesa con il Ministero lasciata cadere alla fine del 2001, e si è disposta alla banale alternativa (dettata da dichiarate ragioni contingenti di difficoltà economica) di sostituire all’Ospedale estense i propri uffici amministrativi, Italia Nostra ritiene che spetti in ogni caso al Ministero per i beni e le attività culturali affrontare il problema posto dalle condizioni di sofferenza, per difetto di spazi essenziali, della Biblioteca estense (caso unico, come già si è rilevato, di raccolta libraria statale insediata in immobile che non è di proprietà dello Stato) e assumere l’iniziativa nei rapporti con l’Amministrazione comunale di Modena, prospettando la soluzione che aveva fino a pochi anni or sono impegnato la stessa Amministrazione e che oggi è resa finalmente possibile dalla irripetibile situazione di disponibilità degli spazi contigui. E’ una soluzione (l’unica corretta a giudizio di Italia Nostra) che esige un consistente impegno finanziario dello Stato che della Biblioteca porta la responsabilità (e proprio all’asserito disimpegno dello Stato al riguardo l’Amministrazione comunale imputa il fallimento del progetto coltivato fino al 2001).
  2. La contestuale disponibilità del fronteggiante edificio settecentesco dell’Ospedale Sant’Agostino (offerta dalla Fondazione Cassa di risparmio), certamente attraente e irrinunciabile, rischia paradossalmente di operare come fattore di turbativa rispetto alla corretta soluzione dei problemi posti dal complesso del Palazzo dei musei, con i suoi istituti statali e civici, e della contigua porzione liberata dall’Ospedale estense. Che deve essere trovata, come si è tentato di argomentare, nell’ambito di quell’unitario organismo architettonico.

Avendo ottenuto il generico consenso dell’attuale direttore (ad interim) della Biblioteca estense, la Fondazione sta operando concretamente per verificare le condizioni di fattibilità del trasferimento della biblioteca nell’edificio dell’ex Ospedale Sant’Agostino e anzi in questa prospettiva la stessa Fondazione ha di recente acquistato anche alcuni corpi di fabbrica ottocenteschi retrostanti alla porzione settecentesca e già sede di speciali sezioni del medesimo ospedale. Si tratta dunque di una complessiva straordinaria disponibilità di spazi a servizio degli istituti culturali, posti per altro in un rapporto di immediata contiguità con il Palazzo dei musei (i due edifici si fronteggiano nel Largo Sant’Agostino) e con esso idonei a costituire un organico sistema unitario. Ben si comprende la legittima ambizione  della Fondazione a un uso di massimo prestigio (e in questo senso non senza fondamento ha pensato alla Biblioteca estense) dell’edificio di recente acquistato per le istituzioni culturali della città e a una tale aspirazione ben può  corrispondere la destinazione a sede di una biblioteca multimediale quale moderna proiezione digitale della Biblioteca estense e, insieme, di attività espositive a servizio così della Galleria estense e dei Musei civici come della Galleria civica di arte contemporanea. Che oggi è ospitata nel Palazzo di Santa Margherita (in Corso Canal Grande, a fianco del Teatro municipale) ove contende gli spazi alla Biblioteca comunale Delfini, pregiudicandone le obbiettive esigenze di espansione (necessaria specie per assicurare gli standards di copertura bibliografica di una vera e propria  biblioteca civica). Di adeguati luoghi espositivi la città è carente e lo sarà di più quando la quarta parte del Foro Boario  (per i tre quarti  occupato dalla facoltà universitaria di scienze economiche) oggi utilizzata per le più impegnative manifestazioni espositive dovrà ragionevolmente a breve essere ceduta alla stessa facoltà  che ne ha necessità per rispondere ad essenziali esigenze didattiche.

Non paiono, dunque, inadeguate ipotesi di ripiego (per l’uso del settecentesco “Ospedale Sant’Agostino”) quelle alternative al proposto trasferimento della Biblioteca estense, specie se si ha la capacità di concepire un unitario organico progetto che abbracci l’insieme dei destinati luoghi della cultura nella città e impegni la responsabilità di tutti i soggetti istituzionali che ne sono coinvolti, il Ministero, il Comune di Modena, la Fondazione Cassa di risparmio di Modena, l’Università (che con taluni suoi istituti, anche museali,  è insediata nello stesso isolato dell’Ospedale Sant’Agostino).

Il quadro che qui si è cercato di disegnare, ci rendiamo ben conto, è assai complesso e pone, a parere di Italia Nostra, a carico del Ministero per i beni e le attività culturali una primaria responsabilità. Perché l’atteggiamento rinunciatario della Amministrazione comunale di Modena (rispetto al progetto perseguito fino al 2001) esige oggi dal Ministero l’assunzione di una iniziativa forte e determinata  per la ripresa di quel rapporto lasciato cadere appunto nel 2001, fondato sulla concorde convinzione che la soluzione dei problemi posti dagli istituti statali e civici da oltre un secolo insediati nel Palazzo dei Musei debba essere perseguita innanzitutto con la espansione fisiologica nella contigua porzione dell’edificio settecentesco divenuto infine disponibile con il trasferimento dell’Ospedale estense. Soluzione che oggi può giovarsi della nuova opportunità offerta dalla Fondazione Cassa di risparmio di Modena, che mette a disposizione degli istituti culturali della città l’edificio dell’Ospedale Sant’Agostino, per un unitario –impegnativo e condiviso- complessivo progetto aperto ad ulteriori e determinanti sviluppi.

Modena, 29 gennaio 2007.

 

(fonte foto: sito web Unesco)