Il terremoto non può indurre la Regione Emilia – Romagna a tradire la sua cultura di tutela e recupero degli insediamenti storici urbani e rurali.

Italia Nostra, consiglio regionale dell’Emilia – Romagna.

Il terremoto non può indurre la Regione Emilia – Romagna a tradire la sua cultura di tutela e recupero degli insediamenti storici urbani e rurali.

Sono parole che riflettono la consapevolezza che  questa Regione fu prima nel valorizzare il compito essenziale della pianificazione dettato nella legge fondamentale urbanistica (la legge 1150 del 1942) con la modifica dell’articolo 7 (“contenuti del piano generale”); e dei “vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico” definì una rigorosa disciplina nella sua prima legge di”tutela ed uso del territorio” ispirata ai principi del restauro urbano nella considerazione dei centri storici come unitari monumenti, disciplinando le differenziate categorie degli interventi ammissibili (in ragione delle caratteristiche dei singoli elementi compositivi scrupolosamente identificati e analizzati anche con riguardo alle condizioni conservative) e tutti orientati al recupero della autenticità dei tessuti edilizi. La tutela urbanistica è operante pure nei confronti degli edifici riconosciuti di interesse storico artistico secondo la legge dello stato, concorrendo con l’esercizio della tutela statale di settore e la disciplina di restauro scientifico con le sue obbiettive regole di piano è spesso assai più efficace della gestione discrezionale e incontrollabile dei vincoli di soprintendenza. Di fronte ad edifici di recente trasformati in modi offensivi della qualità urbana storica, e in presenza di documentazione sicura dell’assetto autentico preesistente, è prevista e normata pure la categoria di intervento per ripristino tipologico con vincolo di demolizione  e ricostruzione su quel documentato modello. Converrà ricordare che alla definizione della normativa degli interventi nei centri storici la giunta di allora chiamò a collaborare l’Istituto regionale dei beni culturali e determinante fu il contributo di Pier Luigi Cervellati e Romeo Ballardini (Ballardini presiedette poi la prima commissione ministeriale incaricata di stabilire i criteri di adattamento dei dispositivi antisismici ai beni monumentali).

A questi indirizzi, sostanzialmente confermati nell’Allegato alla legge regionale 20/2000 (Contenuti della pianificazione/Capo A-II/Sistema Insediativo Storico), la pianificazione  comunale si è generalmente attenuta con convinta adesione e anche i comuni terremotati sono dotati di vigenti piani regolatori che dettano una stringente normativa specifica di attuazione degli interventi nel centro storico e nelle architetture rurali tradizionali. Vi è  prevista e prescritta la ricostruzione (“in conformità alle caratteristiche originarie”, ribadisce la Giunta nel preambolo che abbiamo or ora letto) degli edifici a vario titolo vincolati e assoggettati a restauro o risanamento conservativo, per qualsiasi evento traumatico danneggiati e perfino integralmente demoliti. Insomma in Emilia Romagna la ricostruzione del dov’era com’era è vincolo di legge e di piano regolatore, pur se mostrano di ignorarlo i “maestri” al sostegno della  cui autorevolezza di restauratori universitari si affidano gli organi del ministero dei beni culturali insediati in questa regione.

Ebbene, contro l’impegno assunto nel preambolo della delibera di Giunta, sorprendentemente  l’art. 4 della proposta di legge, dopo aver ribadito (comma 3) che gli interventi di riparazione e ripristino con miglioramento sugli edifici di interesse storico – architettonico, culturale e testimoniale individuati dalla pianificazione urbanistica saranno attuati secondo la relativa disciplina di tutela, nel consecutivo comma 4 dichiara decaduta quella disciplina “nel caso in cui gli edifici vincolati siano interamente crollati a causa del sisma, ovvero siano gravemente danneggiati e non recuperabili se non attraverso demolizione e ricostruzione”. Espressione questa, per altro, che apre una troppo ampia e in pratica incontrollabile discrezione tecnica e si presta ad applicazioni  perfino indiscriminate, come è avvenuto nell’immediato post sisma con precipitose demolizioni disposte dalla protezione civile e assentite dalla direzione regionale beni culturali per edifici che, a motivato giudizio di esperti strutturisti, con minor spesa sarebbero potuti esser messi in definitiva sicurezza.

Il vigente vincolo a restauro o risanamento conservativo (ma insieme quello di ripristino tipologico) impongono, già si è ricordato, la ricostruzione pure per gli edifici integralmente crollati e dunque questa brutale decadenza per legge è la via necessitata per escludere la prescritta ricostruzione. Senza una norma come questa neppure direzione regionale per i beni culturali e soprintendenze potrebbero coltivare (come invece vanno facendo, contro i fini istituzionali, anche con definiti progetti illustrati in pubblici convegni) stravaganti ipotesi alternative al doveroso restauro – recupero per i beni monumentali soggetti alla  loro tutela (imposto dall’art.29/4 del codice dei beni culturali), immaginando perfino di affidarsi al riguardo all’alea di concorsi internazionali. Una norma irragionevole, questo comma 4  dell’art. 4, che condanna alla definitiva perdita l’edificio monumentale o di interesse storico o ambientale se colpito dal sisma, ferma rimanendo la prescrizione di doverosa ricostruzione se diversa fosse la causa del crollo, collasso strutturale, incendio o trasgressiva demolizione intenzionale.

Ma una norma pure, noi crediamo, che si espone a severi rilievi di legittimità costituzionale perché trasgredisce un principio fondamentale, desunto dalla legislazione nazionale, in materia, il governo del territorio, rimessa alla potestà legislativa concorrente di regione e stato (art.117, comma 3, Costituzione). Non v’è dubbio che l’articolo 7 della gloriosa legge 1150 del  1942, come modificata nel 1968 (l’abbiamo più sopra richiamata), sia espressione di un principio fondamentale, là dove attribuisce ai comuni, titolari dei piani generali, una autonoma essenziale funzione (di tutelare parti del territorio urbano ed extra urbano in funzione di valori di cultura) e, perché loro propria, incomprimibile. Sicché la legge regionale che sopprime i vincoli voluti dai comuni nell’esercizio di quella funzione, vincoli forti perché non soggetti a decadenza (a differenza degli altri di diversa natura posti dallo stesso art.7), offende la speciale potestà autonoma dei comuni riconoscibile come principio fondamentale della legislazione dello Stato.

La soppressione del vincolo conservativo per i singoli edifici apre una lacuna nella relativa disciplina urbanistica che la legge regionale 20/2000 (Allegato Contenuti della pianificazione Capo A-II Sistema Insediativo Storico ART.A-7 Centri storici) affida al PSC e di ciò non sembra preoccuparsi la proposta di legge se configura come meramente facoltativi i piani della ricostruzione di cui all’articolo 8 (mentre generalmente opererebbe la decadenza dei vincoli di ricostruzione) e dunque all’estro estemporaneo, senza regola, rimarrebbe affidata la soluzione alternativa alla ricostruzione. Ma, soppresso il comma 4 dell’art.4 (come Italia Nostra giudica doveroso), a rigore del piano di ricostruzione non si avverte la esigenza per i centri storici interessati dal sisma, così analiticamente disciplinati nei relativi vigenti piani regolatori con riguardo ad ogni elemento costitutivo, essendo stata in quella sede di piano già valutata la recuperabilità dei valori urbani originari; mentre degli interventi ammissibili in ciascun edificio ed UMI le norme attuative del piano dettano una esauriente disciplina, esauriente pure per la eventualità di gravi danni subiti per il sisma.

E in effetti il piano di ricostruzione come configurato nell’art.8 è funzionale a radicali trasformazioni dell’insediamento urbano, nel senso che a un simile strumento non vi sarebbe ragione di ricorrere se non per l’attuazione di interventi che dei centri storici negano all’evidenza la speciale natura e dunque sono in assoluto incompatibili con i principi conservativi di cui sono espressione i vigenti piani regolatori. Costituisce infatti il plateale scardinamento della cultura del recupero e del restauro urbano  la previsione (comma 3 dello stesso articolo 8) che “il piano può disciplinare interventi di modifica della morfologia urbana esistente, attraverso interventi di demolizione e ricostruzione con variazione delle sagome e dei sedimi di ingombro”, al dichiarato “scopo” di “ricreare nuovi valori nell’ambiente urbano” (come se al sisma possa imputarsi di aver reso “quelli originali non più recuperabili”). Si tratta di Interventi, questi sì (più del sisma) dirompenti, che non possono essere seriamente motivati dalla condizione di eccezionalità e emergenza provocata dal terremoto e che nel terremoto troverebbero il pretesto per legittimarsi contro il principio del restauro urbano e per disattendere insieme le norme di attuazione dei vigenti piani regolatori per i centri storici e  la vincolante disciplina generale dettata dal richiamato art. 4-7 Centri storici  dell’Allegato alla legge 20 sui Contenuti della Pianificazione.

Sono considerazioni, queste, che motivano a ben vedere il generale rifiuto di principio dello “specifico piano, denominato <piano della=”” ricostruzione=””>” per l’intero insediamento urbano e rurale, la cui adozione è rimessa alla mera (neppure orientata da sicuri indirizzi) discrezione dei singoli “comuni interessati dal sisma” e per ciò stesso si tratta di misura non necessitata dalle effettive esigenze della ricostruzione che negli strumenti ordinari della pianificazione ben possono trovare la loro esauriente e più corretta soddisfazione. Un simile speciale strumento, concepito come eventuale,  perciò non funzionalmente imposto dal compito della ricostruzione, si presta se non ad impieghi pretestuosi ad applicazioni che sovvertono il meditato ed equilibrato disegno della vigente pianificazione o ne compromettono la complessiva coerenza, con indulgenza a delocalizzazioni di funzioni consolidate nei tessuti esistenti e alla diffusione di nuovi insediamenti anche residenziali (che certo l’indicazione finale di cautela del comma 5 dell’art.8 non varrà a contenere), pure attraverso il problematico (art. 13 legge 241/ 1990) ricorso all’accordo di pianificazione con i privati.</piano>

In conclusione Italia Nostra pone alla responsabilità della Assemblea legislativa della Regione Emilia – Romagna la esigenza di operare in coerenza con i consolidati indirizzi di tutela e recupero degli insediamenti storici urbani e dei territori rurali che la Regione stessa si è data e ha praticato fin dalla istituzione dell’ordinamento regionale e che sono stati riconosciuti un esemplare modello per l’intero paese. Di questi consolidati indirizzi l’emergenza del post sisma non può, sotto alcun profilo, giustificare l’abbandono. E a tal fine sembra a Italia Nostra che si imponga:

1.     la soppressione del comma 4 dell’art. 4;

2.     la soppressione degli articoli 8 e 9 o, in subordine in ogni caso, la riscrittura del comma 3 dell’art. 8 con la soppressione del secondo e terzo periodo dello stesso comma e con la sostituzione della frase conclusiva del primo periodo dopo la parola “storica” della quinta riga con la seguente: “in conformità con le norme di attuazione del vigente strumento urbanistico ed esclusa pertanto l’applicazione dei commi 1 e 2 del presente articolo”.

Bologna, 26 novembre 2012.

Italia Nostra, consiglio regionale dell’Emilia – Romagna.