I 70 ANNI DI ITALIA NOSTRA. Intervista a Giovanni Losavio presidente onorario dell’Associazione.

  1. Giovanni Losavio,intervistato da Stefano Luppi, ripercorre i 70 anni di vita dell’Associazione. Parte dell’intervista è pubblicata nel numero di settembre 2025 de Il Giornale dell’Arte. Vai all’articolo:

 

 

I 70 ANNI DI ITALIA NOSTRA

Stefano Luppi intervista Giovanni Losavio

 

Come andò in quel lontano 29 ottobre 1955 e come si arrivò alla nascita della associazione?

Sì, un giorno lontano, una associazione longeva, ha attraversato i 70 anni della più profonda trasformazione del nostro paese. Non si è esaurita, io credo, perché è strumento di democrazia. Lo disse Giorgio Bassani in una intervista alla Rai di qualche anno dopo, era nostro intento promuovere la democrazia anche attraverso la tutela di patrimonio artistico e naturale. Una giovane democrazia, solo da pochi anni la tutela era divenuta (art.9 della costituzione) compito primario della Repubblica. Un ristretto gruppo di élite intellettuale di cultura umanistica avverte la responsabilità civile e politica di quel ruolo di fronte all’allarmante processo di distruzione, sempre più grave, al quale è stato sottoposto il nostro patrimonio nazionale, scrissero così nell’atto costitutivo, erano gli anni di avvio del dirompente boom economico. Danno vita a una associazione nazionale, col proposito di superare la condizione elitaria, certamente inadeguata, per diffondere il senso di responsabilità verso i problemi (suscitare il più vivo interesse per) della conservazione del paesaggio, dei monumenti e del carattere ambientale della città, specialmente in rapporto allo sviluppo dell’urbanistica moderna. Non è dunque conservazione per sé stessa, è concezione innovativa della tutela che non isola arte e monumenti dal contesto sociale che li ha espressi, ma li rende partecipi dell’ordinato sviluppo del territorio e della città. Insomma la tutela di patrimonio e paesaggio per la qualità dell’abitare e della vita di tutti. Guida quel gruppo di intellettuali Umberto Zanotti Bianco (primo presidente dell’associazione fino alla scomparsa nel 1963), liberale, era stato attivo antifascista, arrestato e confinato, figura incomparabile di meridionalista militante, educatore, fervente organizzatore di iniziative di promozione sociale, dai molteplici interessi di studio, anche archeologo sul campo, Einaudi lo ha nominato senatore a vita.

Come si sviluppò successivamente?

Si tratta di uscire dall’orizzonte romano per provvedere con urgenza a dar vita alla trama organizzativa della associazione estesa nel paese. Si è saputo interpretare una diffusa aspettativa, vengono rapidamente a costituirsi le sezioni locali non solo nei più importanti capoluoghi, la stessa Roma, Milano, Firenze. Napoli, Torino, Bologna, una vera e propria mobilitazione democratica, fermo l’assetto associativo unitario, che riflette la dimensione ideale unitaria e nazionale di patrimonio e suoi problemi. Oggi le sezioni sono vicine a 200 e, attuato nel 1972 l’ordinamento regionale, hanno preso vita i consigli regionali dell’associazione, per corrispondere a quella dimensione, regionale appunto, della iniziativa (le regioni nascono con l’essenziale – cruciale – attribuzione di potestà legislativa nella materia urbanistica). La manifestazione di grande rilievo pubblico che consolida nel paese la presenza di Italia Nostra e la accredita verso il Governo e la stessa Presidenza della Repubblica è la mostra (1967) Italia da salvare, uno straordinario successo, geniale invenzione di innovativa strategia comunicativa, concepita da Renato Bazzoni (che avrebbe nel 1975 dato vita, con Giulia Maria Crespi, al FAI, fondo per l’ambiente italiano, sul modello del National Trust britannico) e realizzata con i suoi esperti collaboratori della sezione di Milano e con il glorioso Touring Club Italiano, un efficace strumento di popolarizzazione dei problemi della città e dell’ambiente di vita. E‘ la ragionata rassegna di immagini spesso drammatiche, di abbandono e violenza distruttiva, che provoca sdegno e perfino raccapriccio nei cittadini che la visitano – e saranno numerosissimi – a Milano e, itinerante, a Roma e in altre città (Montanelli, il giro della vergogna). Un messaggio rivolto allo Stato, al governo e al parlamento, è intollerabile la indifferenza delle pubbliche istituzioni, debbono ricavarne le indicazioni per una seria politica di tutela, mettano a segno un programma nazionale organico che sappia tradursi in interventi legislativi e operativi. È Italia da salvare il positivo perentorio imperativo che riassume il senso della mostra, sembrano intenderlo il ministro alla pubblica istruzione Gui che la inaugura a Milano e il Presidente Saragat che la visita a Milano e a Roma. La mostra varca perfino l’oceano, è chiesta negli Stati Uniti, un’agenzia turistica ne ricava lo slogan pubblicitario, andate in Italia prima che gli italiani la distruggano.

Quali sono state le “battaglie” principali di Italia Nostra nel tempo?

Le prime battaglie: perduta quella per la salvaguardia di Baia di Panigaglia, il golfo dei poeti, cara a Shelley e Byron, condannata da Esso e Eni a subire l’offesa del rigassificatore; è iniziativa di Zanotti Bianco la legge speciale per Paestum, protetta da un vasto alone di rispetto (ma vi fiorì poi un diffuso abusivismo); vinta l’opposizione alla translagunare panoramica che da Chioggia a Punta Cavallino, passando per Pellestrina, Malamocco e Lido, avrebbe soffocato Venezia dentro un recinto di cemento armato e fu l’occasione per porre all’Europa, al mondo intero, la questione Venezia (contro il criminale imbonimento della laguna che avvolge e difende l’incomparabile città), una mostra fotografica fu mandata a Parigi, Strasburgo, Londra, Varsavia. Premiata la strenua difesa della Via Appia antica, Regina Viarum, determinante il personale impegno di Antonio Cederna con i martellanti articoli su Il Mondo di Pannunzio. Italia Nostra ottiene (centrosinistra al Governo e in Comune) la destinazione a parco pubblico dell’intero comprensorio, da Porto San Sebastiano ai confini comunali, sottratto all’assedio dell’edilizia speculativa che già lo stava consumando: esemplare intervento di tutela urbanistica che di un articolato e unitario compendio archeologico, rigorosamente vincolato ogni suo documento, fa un servizio pubblico, a servizio, cioè, dei cittadini.
I problemi inerenti alla conservazione … del carattere ambientale delle città, specialmente in rapporto allo sviluppo dell’urbanistica moderna (proposito dell’atto costitutivo, abbiamo visto, suscitare il più vivo interesse sul destino della città), dunque i problemi dei centri storici, hanno impegnato da subito l’associazione che si è riconosciuta nelle dirimenti ragioni motivate da Antonio Cederna nella appassionata introduzione al suo I vandali in casa (Laterza, 1956). Il pubblico dibattito animato dalla associazione concorre al riconoscimento normativo del centro storico come speciale parte delle città, per una appropriata disciplina di risanamento conservativo. Ed è la legge ponte del 1967, che impone la perimetrazione dei centri storici, rimessi alla disciplina conservativa di piano regolatore secondo la definizione, i criteri e i principi dettati dal decreto ministeriale dell’anno dopo (1444) che varranno poi come fondamentali a orientare la potestà legislativa delle regioni nella materia dell’urbanistica. E a quella legge si deve quanto si è preservato della città italiana di tradizione. Nel congresso nazionale (1966) Italia Nostra prende atto delle conclusioni della commissione interparlamentare presieduta dall’onorevole Francesco Franceschini per il rinnovamento della legislazione della tutela e segnala i pericoli della proposta amministrazione autonoma, una separata riserva tecnocratica, che limita, questo il rischio, l’autorità dello stato, mortifica infine la democrazia. Una mera sezione del vasto ministero della pubblica istruzione non corrisponde, è vero, al nuovo rango costituzionale della tutela (art.9), ma non una azienda autonoma, un apposito ministero piuttosto che autorevolmente partecipi al governo del paese. Come, infine, otterrà la ferma determinazione di Spadolini e con un decreto-legge(!) del dicembre 1974 nasce il ministero per i beni culturali e ambientali. Ferma è la difesa della gestione pubblica delle biblioteche storiche (non c’è ragione d’ordine economico che possa valere), come a Modena la Biblioteca Estense (statale) e la Biblioteca Poletti (comunale) destinate da un accordo tra ministero, comune e fondazione bancaria al trasferimento nella sede della fondazione entro il complesso dello storico ex Ospedale Sant’Agostino. Si deve alla campagna della associazione (argomentata anche da Settis e Prosperi) se le biblioteche sono rimaste nel pubblico Palazzo dei musei e lì hanno trovato gli spazi per la fisiologica espansione, mentre la privata fondazione ha recuperato lo storico ospedale per farne altrimenti oggetto di un proprio originale progetto culturale che comprende la valorizzazione dei contigui musei universitari. È di Italia Nostra l’idea e la proposta di un Parco naturale del Delta del Po, la accolgono con propria legge per i rispettivi ambiti territoriali così la regione Emilia- Romagna come la regione Veneto, invano stimolate dallo Stato alla doverosa soluzione unitaria verso il parco nazionale. In un convegno a Comacchio l’associazione aveva motivato le ragioni che impongono di preservare il patrimonio ecologico e storico delle Valli, unico nel Paese, insidiato dalle allora non rinunciate bonifiche per la conversione a una improduttiva attività agricola.
Ho cercato di dirlo, necessariamente nazionale l’associazione, coscienza e responsabilità nazionale ha la milizia locale di ogni sezione per tutela di patrimonio e paesaggio entro l’ambito del proprio osservatorio. Questo il profilo essenziale che differenzia le nostre sezioni dai pur preziosi e meritevoli comitati spontanei che si costituiscono sull’impulso di specifici problemi della città e dell’ambiente, ma poi si dissolvono anche quando il problema non ha avuto soluzione. Ci fu un momento di speciale animazione dei comitati nei primi anni di questo 2000, si ritrovarono anche in un comune convegno, ma necessariamente fallì il proposito di Alberto Asor Rosa di legarli o soltanto coordinarli in un movimento unitario di democrazia dal basso, come si diceva. La trama delle nostre sezioni, nuclei degli associati che si riconoscono entro un definito ambito territoriale, è condizione insieme di democrazia dell’associazione, di presenza diffusa nello spazio e di continuità nel tempo. Io credo che alla originalità della nostra associazione (libera associazione di cultura, di politica dei beni culturali e dell’ambiente) non corrisponda affatto lo schema di ente del terzo settore, come associazione di promozione sociale, aps, cui di recente il direttivo nazionale ha inteso adeguarla, con la iscrizione nell’apposita sezione del RUNTS, Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, istituito presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali. L’aps è associazione (sia pure) senza fine di lucro che svolge attività (sia pure) di interesse generale (ma) a beneficio dei propri associati, dei loro familiari e anche di terzi, irriconoscibili in questo assetto i propositi dei fondatori scolpiti nell’atto costitutivo del 1955. E se la iscrizione al RUNTS comportasse speciali benefici anche d’ordine fiscale, irrinunciabili in pratica si dice, ne sarebbe colpito il principio stesso costituzionale di libertà di associazione.

Siete stati critici sulla riforma del Ministro Dario Franceschini, perché?

Italia Nostra fu contraria alla riforma del ministro Dario Franceschini (oggi senatore) che ha costituito in autonomi enti di gestione e amministrazione la gran parte dei musei, sottratti quindi alle soprintendenze delle quali storicamente e funzionalmente costituivano uffici integrati nella istituzione di tutela. La valorizzazione dei musei poteva e doveva avvenire all’interno delle soprintendenze attraverso le maturate insostituibili competenze professionali di direzione. Nella economia del ministero della cultura massimo interesse e sostegno finanziario sono oggi dati all’insieme dei musei (si stenta a riconoscere un organico sistema nazionale), mortificate invece le soprintendenze e compresso l’esercizio della tutela, molto ampia la vacanza nell’organico di quegli uffici. Ripristinare dunque innanzitutto l’efficienza funzionale delle soprintendenze con l’incremento degli organici, non basta la integrazione degli attuali scoperti; e necessario l’adeguato incremento finanziario. E si ripristini subito il requisito temporale – consolidato dalla prima legge di tutela, 1902, e adottato in tutta Europa – per il riconoscimento dell’interesse culturale del bene immobile o mobile, se la sua esecuzione, cioè, risalga a oltre 50 anni. La elevazione di quella soglia a 70 anni fu disposta tra 2011 e 2017, per gli immobili al dichiarato fine di favorire l’attuazione del federalismo demaniale (il trasferimento dal demanio dello stato a regioni, province e comuni, così limitato l’intralcio della tutela); per i beni mobili con l’intento di semplificare il controllo delle procedure di controllo nella circolazione internazionale delle cose antiche che interessano il mercato dell’antiquariato. Amputato il campo della tutela, l’opportunità politica ha sacrificato la dimensione stessa del patrimonio alla prevalenza di altri occasionali interessi, sfrontata l’offesa al rango costituzionale della tutela. Mentre sul fronte dell’urbanistica i recenti denunciati fenomeni di abuso edilizio per arbitraria applicazione della disciplina di ristrutturazione edilizia a costruzioni radicalmente nuove per incommensurabile incremento di volumi (eluso il piano particolareggiato, basta segnalare al comune l’inizio dei lavori) rendono evidente la necessità della legge statale che detti stringenti principi alla potestà legislativa delle regioni in materia di governo del territorio. Abrogata innanzitutto la recente disposizione che dà alle regioni (è scandalo!) la facoltà di derogare ai limiti inderogabili(!) nell’edificazione, fissati nel decreto 1444 del 1978 in attuazione della legge ponte dell’anno precedente, ai quali oggi si riducono i principi fondamentali della materia. E, sovrano l’interesse generale, sia riaffermata la riserva pubblica della potestà di pianificazione urbanistica (che invece la legge della regione Emilia-Romagna fa esplicitamente oggetto di accordo tra comune e privato proprietario interessato).

Che farebbe se avesse una bacchetta magica?

Non saprei maneggiare la bacchetta magica, basti ripristinare efficienza e fermezza delle soprintendenze nell’esercizio della tutela e la legalità nell’urbanistica, secondo il disegno costituzionale. Oggi sul nostro territorio incalza la rivendicazione di diffusi insediamenti fer, di fonti di energia rinnovabile, eolico e fotovoltaico, e in quel sistema anche la accertata inidoneità di un’area non ne comporta affatto l’assoluta incompatibilità, neppure per gli ambiti di tutela paesaggistica e perfino per quelli di dichiarato interesse storico e artistico. Mentre il vaglio in concreto di ogni singolo insediamento fer è stato sottratto alle soprintendenze (che hanno, esse, sicura conoscenza del luogo) e accentrato al ministero nella speciale soprintendenza istituita per il PNRR, più vicina dunque alle istanze, come si dice, della convenienza politica. Ecco, avessi la bacchetta, fuori subito le fer da paesaggio tutelato (e la legge Galasso ne ha dettato una vasta copertura) e dai luoghi di riconosciuto interesse culturale.

Come vede il futuro di Italia Nostra?

Ti ho detto iniziando che Italia Nostra non ha esaurito i suoi compiti che sono quelli dell’atto costitutivo e attualissimi, perché accompagnano la democrazia. Ed è così tracciato il cammino di presenza della associazione alla attualità della politica di beni culturali e paesaggio e di esercizio di vigilanza critica in orgogliosa autonomia, verso ogni istanza del potere, parlamento, ministero, regioni e amministrazioni locali. Funzionale a quei compiti è l’assetto organizzativo sul quale si è costituita, una originalità che la rende essenzialmente estranea ai modelli del terzo settore (ho detto prima che non può essere associazione di promozione sociale, una diminuzione) cui ha di recente ceduto ma dai quali deve, io credo, sapersi liberare.